Le immagini strazianti dei naufragi nel Mediterraneo hanno riportato ricordi amari alla mente di Anh Lê, una famosa ristoratrice vietnamita in Danimarca, che da piccola ha attraversato gli oceani per arrivare dove si trova oggi.
A cinque anni è stata costretta a fuggire dal Vietnam in barca, con la sua famiglia. Sfidando i pirati, le tempeste, i rifiuti degli stati e la sempre presente paura di violenze, è riuscita infine a trovare il successo e la felicità nella sua terra di adozione.
Ora, dopo anni di silenzio sul suo calvario, spinta dai terribili eventi verificatisi nel Mediterraneo, ha sentito il bisogno di parlare.
“Non parlo mai di quello che è successo, e nemmeno i miei genitori ne hanno parlato per molti anni. Era troppo difficile, orribile. Ma questa crisi nel Mediterraneo mi ha colpita. Credo ci siano cose che non sarò mai veramente in grado di superare, ma sono una dei fortunati che ce l’hanno fatta”, ha spiegato.
Oggi 42enne, la chef e scrittrice di libri di cucina appare regolarmente in televisione per condividere con il pubblico danese moderne ricette vietnamite nel suo show “Spis Vietnam”. La sua storia è una storia di speranza e di trionfo. Ma Anh non ha mai dimenticato il passato.
“Le notizie e le foto di persone stipate su piccole imbarcazioni, gente che nuota disperatamente verso la costa per sopravvivere, l’immagine dei corpi – in particolare bambini – che galleggiano nel mare hanno risvegliato i miei ricordi, rattristendomi molto ma al tempo stesso spingendomi finalmente a raccontare la mia storia”.
Anh spera che attraverso la condivisione della sua esperienza si possa aiutare a modificare quella parte di opinione comune che considera negativamente i richiedenti asilo, mostrando come anch’essi possono contribuire alla crescita della società, diventando una ricchezza, non un onere.
“Pensavo ingenuamente che il mondo avesse imparato qualcosa dalla guerra del Vietnam e da molte altre guerre… ma è chiaro che abbiamo bisogno di parlarne ancora. Abbiamo bisogno di far sapere alle persone che domani potrebbe toccare a loro. Non c’è alcuna soluzione perfetta, tutti hanno paura di perdere qualcosa aprendo le frontiere, ma dobbiamo risolvere la situazione”.
La sua profonda conoscenza di ciò che significa fuggire dalla propria casa e diventare un rifugiato la spinge a reagire con forza ad alcuni commenti dei media, che parlano di persone che girano per il mondo, come per fare shopping, in cerca del posto migliore per chiedere asilo.
“Le persone in fuga non pensano ‘che paese scelgo? Dove posso guadagnare più soldi?’ Pensano solo ‘voglio che i miei figli siano al sicuro'”.
La fuga di Anh è iniziata perché suo padre era un ufficiale della Marina dell’allora Vietnam del Sud, alleato degli Stati Uniti. Dopo la fine della guerra nel 1975, fu mandato in un campo.
Lì incontrò un uomo d’affari cinese che aveva costruito una barca, e grazie alla sua esperienza nella Marina il padre di Anh si assicurò un posto a bordo in cambio dell’impegno a guidare l’imbarcazione. Anh e i suoi tre fratelli, di età dai nove mesi ai sei anni, si sono imbarcati con lui. “Quando la gente chiedeva a mio padre ‘perché stai portando la tua famiglia con te?’, mio padre rispondeva ‘se me ne vado, muoiono. Se li porto con me, muoiono con me’ “. Il padre ha creduto che il rischio valesse la pena, perchè poteva dare ai suoi figli la possibilità di una vita migliore, più sicura.
Sulla barca, insieme a loro, c’erano altre mille persone. In una situazione stranamente simile all’attuale crisi odierna nel Sud-Est Asiatico, la barca di Anh è stata respinta da Hong Kong, Malesia e Indonesia. Dopo 14 giorni di navigazione da un posto all’altro, l’acqua era esaurita e il cibo era scarso. La situazione stava diventando disperata.
“La gente faceva i propri bisogni a bordo della nave, eravamo tutti stanchi, c’erano troppe persone. Non si poteva camminare o respirare”. Con l’aiuto di altri rifugiati a bordo, il padre di Anh riuscì a difendere la nave dai pirati, ma il tempo stava per scadere. Alla fine, il padre di Anh prese la decisione di affondare di proposito la nave al largo della costa indonesiana in modo da non poter essere nuovamente respinti in mare. La maggior parte delle persone a bordo non sapeva nuotare, quindi quelli che sapevano farlo trascorsero la giornata nuotando avanti e indietro tra la spiaggia e la barca, aiutando gli altri compagni di viaggio.
Anh, la sua famiglia, e gli altri sopravvissuti furono portati in un campo profughi indonesiano. Passarono tre mesi dormendo per terra in una tenda condivisa con altre quattro famiglie. Poiché non avevano soldi, la famiglia sopravviveva mangiando il pesce che il padre pescava durante la notte. C’erano zanzare e pioveva continuamente.
Alla fine arrivò la buona notizia, e nel 1979 la famiglia venne reinsediata in Danimarca.
“Sul volo per Copenaghen ci sentivamo come se fossimo in paradiso. Gli assistenti di volo venivano a chiederci come stavamo ogni cinque minuti, offrendoci cibo e bevande. Fu un’esperienza bellissima”.
Dopo un breve soggiorno a Copenhagen, la famiglia venne trasferita ad Aalborg, nel nord della Danimarca, dove si ricostruirono una nuova vita, integrandosi velocemente nella comunità. Dopo gli studi Anh ha vissuto negli Stati Uniti e in Francia, è tornata in Vietnam, ma nel 2003 ha fatto definitivamente ritorno in Danimarca. “Avevo già deciso con i miei fratelli di aprire un ristorante a Copenaghen. Questo è stato l’inizio, e da allora lavoriamo duramente, ma è anche molto divertente!”.
Anh dedica parte del suo tempo, e del denaro guadagnato con la vendita del suo libro di ricette, ad aiutare i bambini dei paesi in via di sviluppo attraverso l’ong SOS Children. Ma è con i tragici eventi nel Mediterraneo che Anh ha preso la decisione dolorosa di parlare per la prima volta della sua esperienza.
“È molto importante ricordare che potrebbe succedere anche a noi. Sì, oggi viviamo in un paese sicuro, che ci protegge, ma non si sa mai quando la nostra casa potrebbe iniziare a tremare”.
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