Con risorse limitate a disposizione, un medico rifugiato dall’Etiopia utilizza le sue capacità e le sue conoscenze per aiutare i rifugiati in difficoltà in Sudan.
Da allora, vive e lavora nella clinica sanitaria della città di confine di Hamdayet nello stato di Kassala, dove la maggior parte dei 60.000 rifugiati in fuga dal conflitto in Etiopia ha cercato sicurezza.
Nato in Eritrea, Tefera si è trasferito dopo l’indipendenza in Etiopia, dove si è laureato in medicina ed è diventato chirurgo. Negli ultimi anni ha lavorato come chirurgo a Humera. Aveva una bella vita e non avrebbe mai immaginato di dover fuggire con i soli vestiti che aveva addosso.
“I primi giorni da rifugiato sono stati i peggiori della mia vita. È stato disorientante e traumatico. Non sapevo esattamente cosa stesse succedendo. Non ero in grado di pensare”, ricorda il medico, che non riusciva a contattare i suoi cari perché tutte le comunicazioni erano interrotte.
Ma il 16 novembre, tutto è cambiato. Sconvolto dall’enorme numero di persone che attraversavano il confine, molte malate o ferite, ha capito che doveva farsi avanti e aiutarle. È andato a offrire il suo sostegno all’UNHCR, all’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, e alla Commissione Sudanese per i Rifugiati (COR) al centro di transito di Hamdayet. Il giorno dopo ha iniziato come volontario nella clinica sanitaria, gestita dalla Mezzaluna Rossa Sudanese.
Nonostante le lunghe ore di lavoro, la mancanza di personale e di forniture mediche, Tefera ha trovato un nuovo scopo nel suo lavoro.
“Da quel primo giorno, lavoro con un impegno che non ho mai avuto prima”, aggiunge.
Lui e i suoi colleghi assistono centinaia di pazienti ogni giorno nella clinica di Hamdayet, una struttura che ha solo due stanze – una usata come ufficio e ambulatorio e una seconda che serve come laboratorio di malattie infettive, farmacia e magazzino. La struttura funziona anche come un mini ospedale con un tavolo per le operazioni e la rianimazione, che una volta era il letto del medico.
“Ora dormo su una stuoia dietro la clinica”, dice Tefera.
Anche se a volte sente di non riuscire a impiegare a pieno il suo potenziale, a causa delle difficili circostanze, continua a fare volontariato presso la struttura medica.
“Almeno sto facendo qualcosa di benefico per la mia gente e sono orgoglioso di sostenere anche la comunità locale”, spiega.
Attualmente sta formando otto volontari, che daranno una mano nelle attività quotidiane della clinica.
“Ci vuole tempo per formarli, perché ora è richiesto loro di andare oltre il lavoro di routine, in mezzo a molte sfide”, aggiunge.
Ma aggiunge che ci sono alcune piccole vittorie, nonostante tutto.
“Uno dei nostri tirocinanti ci ha effettivamente lasciato di recente per iniziare un lavoro in una clinica vicina”, dice.
Tefera sostiene la sua gente non solo come medico esperto, ma come qualcuno che sta attraversando una situazione simile e capisce il trauma della fuga.
“I sentimenti non possono essere tradotti così facilmente come le parole”, dice, aggiungendo che è convinto che condividere la lingua e la cultura dei suoi pazienti aumenta la sua capacità di aiutarli.
Oltre al suo lavoro alla clinica, il medico trascorre il suo limitato tempo libero parlando con i suoi amici e familiari all’estero in Europa, negli Stati Uniti e in altri paesi. La sua speranza ultima è di tornare alla vita che aveva prima di lasciare l’Etiopia.
Fino ad allora, mentre più di 30.000 rifugiati sono stati trasferiti dalle zone di confine agli insediamenti di Um Rakuba e Tunaydbah, nello stato di Gedaref – per offrire loro sicurezza e migliori condizioni di vita – lui ha deciso di restare ad Hamdayet e continuare ad aiutare la comunità.
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