L’UNHCR ha oltre 11.500 dipendenti, la maggior parte dei quali sul campo. Lei è Massoumeh Farman Farmaian e coordina le risposte di emergenza.
Nome: Massoumeh Farman Farmaian. Nata in Iran.
Qualifica: Coordinatrice Senior delle risposte d’emergenza, con sede a Ginevra.
Quindici, in più di una dozzina di paesi.
Sono nata in Iran e parlo il farsi. Ho sempre voluto lavorare in Afghanistan. Da quando ho memoria, ho sempre voluto vedere questo paese, sentirlo, annusarlo, assorbirlo. Ho avuto l’opportunità di lavorare lì dopo gli attacchi dell’11 settembre.
All’epoca degli attacchi stavo lavorando nel settore privato a New York, e quando l’esercito andò in Afghanistan, pensai: “Questo è il momento giusto per andare ad aiutare queste persone. Voglio essere lì e dare il mio contributo. Ho chiamato diverse agenzie umanitarie e ho detto loro: Eccomi, parlo la lingua locale”.
Ho iniziato a lavorare per l’UNHCR in Iran nel 2003 e poi sono andata in Pakistan nel 2005 dopo un terremoto. Da lì sono andata in Afghanistan, dove finalmente ho potuto usare le mie abilità linguistiche, visto che il Dari è molto vicino al Farsi. Dopo un decennio nella regione, sono andata in Ciad.
Quando i conflitti o gli sconvolgimenti politici costringono una popolazione a fuggire da un giorno all’altro, l’UNHCR è lì per aiutare. In caso di emergenza, dobbiamo pensare e agire rapidamente.
I nostri aiuti e i nostri esperti sono pronti ad essere mobilitati velocemente in qualsiasi parte del mondo. Possiamo avviare un’operazione di emergenza entro 72 ore, grazie a una rete globale di scorte e forniture, specialisti e partner.
Bisogna essere sempre pronti. A volte mi viene chiesto di partire in meno di tre giorni e a me va bene. Devo convivere con l’imprevedibilità – e lo adoro.
Quando sono in missione, che sia in Grecia, in Uganda o in Bangladesh, è un lavoro duro perché di solito non mi concedo giorni di ferie. Come puoi prendere un giorno di riposo quando sei nel bel mezzo di un’emergenza?
Ma mi piace il lavoro. Adoro stare sul campo a fare esperienza, incontrare persone di culture diverse e avere l’opportunità di fare la differenza. La parte più gratificante è vedere quale impatto ha avuto il tuo lavoro.
Più di un milione di persone sono state costrette a fuggire dal Sud Sudan e a cercare sicurezza in Uganda da quando i combattimenti nel paese sono scoppiati nel 2013.
Probabilmente uno dei momenti più felici della mia vita con l’UNHCR è stato in Uganda, dove sono stata inviata nel 2016, quando ogni giorno migliaia di rifugiati del Sud Sudan arrivavano a piedi attraverso la boscaglia, soprattutto donne e bambini.
Nel giro di poche settimane dall’allestimento del campo, c’erano migliaia di persone a scuola. È stato meraviglioso vedere i bambini nelle classi e gli insegnanti che pianificavano le loro prossime lezioni.
Ho anche avuto un’esperienza piuttosto emotiva in Grecia, quando mi hanno chiamata dall’ospedale dove erano stati portati dei bambini salvati da un naufragio. Erano feriti e nessuno parlava la loro lingua. Nessuno sapeva chi fossero.
Così sono andata all’ospedale per cercare di capire se parlassero il farsi e alla fine sono riuscita a capire i loro nomi. Erano kurdi iracheni. Ho anche scattato loro delle foto e le ho condivise con colleghi provenienti da diversi luoghi dell’operazione – così sono stati finalmente riuniti ai loro genitori.
Ho incontrato un uomo afghano sulla quarantina che aveva appena perso la sua famiglia in un naufragio. Era salito a bordo di una barca con sua moglie – che era incinta di otto mesi – e i suoi due figli, di due e sette anni. Quando la barca si è capovolta, la sua famiglia non è riuscita a raggiungere la riva. Dopo una frenetica ricerca in tutti i centri di registrazione e gli ospedali, abbiamo iniziato a fare il giro degli obitori.
Alla fine abbiamo trovato i corpi. Era completamente sconvolto. Più tardi disse: “Torno in Afghanistan, dove voglio morire. Tutto quello per cui vivevo non c’è più”.
Questa è stata la peggiore esperienza per me perché non c’era niente che potessi fare per lui. Ma quello che mi fa andare avanti è il pensiero di tutto ciò che l’UNHCR è stato in grado di realizzare nelle varie emergenze in tutto il mondo.
L’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati lavora in 128 paesi aiutando uomini, donne e bambini costretti a fuggire dalle loro case a causa di guerre e persecuzioni. Il nostro quartier generale è a Ginevra, ma l’87% del nostro staff lavora sul campo, aiutando i rifugiati. Qui puoi ascoltare il nostro podcast su ciò che serve per essere un operatore umanitario in alcuni dei luoghi più difficili del mondo.
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