Nato allo scoppio dell’ormai settennale conflitto in Siria, Mohammad ha perso la casa e molto altro a causa della guerra; ma una scuola specializzata in Libano gli ha ridato la speranza.
Mohammad aveva appena due mesi quando è scoppiata la guerra in Siria. All’inizio, la vita nel tranquillo villaggio vicino alle antiche rovine di Palmyra, dove viveva la sua famiglia, non è cambiata molto. Ma ben presto il conflitto ha stravolto le loro esistenze, soprattutto quella di Mohammad.
Come milioni di altre persone colpite dalla guerra, che in questo mese ha tristemente toccato il suo settimo anniversario, Mohammad non ha conosciuto altro che il conflitto in patria e l’esilio in Libano, dove lui e la sua famiglia vivono ora come rifugiati.
L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) stima che siano più di un milione i bambini siriani rifugiati come Mohammad che non hanno mai visto il loro paese in pace e per cui la guerra e l’esilio rappresentano i primi ricordi della propria vita.
Quando era ancora molto piccolo, suo padre Hussein, 41 anni, lavorava nel vicino Libano come muratore occasionale per provvedere alla famiglia, mentre la moglie Aisha era rimasta in Siria per occuparsi della casa. “All’epoca il nostro villaggio non era in guerra e potevamo ancora sognare una vita migliore per i nostri figli” dice Hussein.
All’età di un anno e mezzo, i medici hanno diagnosticato a Mohammad un deficit uditivo che l’ha costretto a indossare un apparecchio acustico e a sottoporsi, ogni tre mesi, a controlli periodici da uno specialista di Damasco. Poco dopo, nel 2013, il conflitto che fino ad allora era rimasto confinato in altre zone della Siria ha gradualmente iniziato a influenzare le loro vite.
“I gruppi armati andavano e venivano, nessuno di noi sapeva contro chi combatteva” afferma Hussein. “All’inizio potevamo ancora muoverci, poi, pian piano, abbiamo smesso di uscire dopo il tramonto e dopo un po’ è diventato impossibile muoversi a qualsiasi ora del giorno e della notte. La gente aveva troppa paura di lasciare il villaggio, per qualunque motivo”.
È stato proprio a causa di questa privazione di movimento che Hussein è rimasto bloccato in Libano una notte del mese di agosto 2014, quando la guerra è infine arrivata alle porte della loro casa e ha cambiato la vita del piccolo Mohammad per sempre. Verso le 2 del mattino, Aisha, 32 anni, è stata svegliata di soprassalto dal rumore assordante dei bombardamenti.
“La casa ci è crollata addosso. Ho preso i miei figli e ho cercato di portarli via” ricorda la donna. “Quando siamo usciti, ho visto i miei vicini che lasciavano la loro abitazione trasportando dei cadaveri”. Si sono diretti verso alcune fattorie vicine per trovare un riparo.
In mezzo al panico e alla confusione è stato solo all’alba che Aisha ha notato il sangue sui suoi vestiti e si è resa conto che era di Mohammad. La ferita alla mano sinistra causata dai proiettili non sembrava troppo seria all’inizio, ma poiché per due giorni non sono riusciti a raggiungere un ospedale, i danni riportati ai nervi hanno costretto i medici ad amputargli l’arto.
Dopo gli eventi di quella notte, le cose non sono migliorate. Nel 2015 i gruppi armati hanno preso il controllo dell’area intorno al loro villaggio, impedendo alle persone di andarsene. Mohammad non poteva recarsi ai controlli dal medico di Damasco e il suo udito si è rapidamente deteriorato. Non avendo altra scelta, all’inizio del 2016 Aisha ha pagato alcuni trafficanti per scappare dalla morsa degli estremisti e raggiungere Hussein in Libano.
Il viaggio attraverso Raqqa, Aleppo, Damasco e, infine, Beirut è durato due mesi. Spesso Aisha era costretta a implorare un po’ d’acqua chiedendola a estranei, a guidare un asino e a camminare per ore senza fermarsi insieme ai suoi figli. “Ho corsi molti rischi, ero una donna sola che viaggiava, ma ho tenuto duro” afferma. “Le persone che ho incontrato lungo il cammino avevano affrontato anche di peggio e questo mi ha dato la forza di continuare”.
Una volta riunita la famiglia, Hussein si è messo subito alla ricerca di aiuto per i problemi di udito di Mohammad. In questa ricerca è venuto a conoscenza del Father Andeweg Institute for the Deaf, una scuola specializzata per non udenti immersa nelle verdi colline che circondano Beirut.
Vi studiano 50 studenti libanesi e 20 bambini rifugiati siriani che frequentano gratuitamente. Oltre alle lezioni in arabo e inglese, l’istituto fornisce gli apparecchi acustici e organizza incontri con logopedisti, psicologi e assistenti sociali.
Dopo tutta la sofferenza vissuta, grazie a questa scuola Mohammad può finalmente tornare alla vita. Ogni mattina si arruffa i capelli davanti allo specchio prima di andare a scuola, che raggiunge in mezz’ora; e la prima cosa che fa al rientro sono i compiti. In classe vuole rispondere a tutte le domande, desideroso di essere il migliore.
“Mohammad è uno studente molto intelligente” afferma Sabine, una delle sue insegnanti. “Vuole dimostrare di essere come gli altri, di riuscire a far tutto anche senza una mano”.
Hussein si sofferma a pensare che la guerra in Siria dura da sette anni, l’età di suo figlio. “Questi ultimi sette anni ci hanno portato indietro di un secolo. Ci hanno fatto invecchiare” dice. “Ma non sono preoccupato per il futuro di Mohammad. Sto facendo del mio meglio per renderlo felice, e in qualche modo se la caverà sempre”.
Anche Aisha è convinta che l’atteggiamento di Hussein contribuirà positivamente al suo futuro, nonostante le esperienze passate. “La sua determinazione è sempre stata più forte della sua disabilità”.
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