Lo shop online dell’UNHCR, MADE51, offre oggetti realizzati a mano da artigiani rifugiati.
“Ho detto [a mio padre]: ‘Voglio farlo'”, ricorda Kapya, 44 anni, che oggi vive in Kenya dopo essere stato costretto a fuggire dalla Repubblica Democratica del Congo. “Lui faceva qualcosa, e poi io facevo lo stesso. Così mi ha insegnato”.
Kapya ha usato gli stessi strumenti che usava da bambino in Congo per fare una colomba di legno per la collezione per le feste lanciata questa settimana da MADE 51, mercato online per gli artigiani rifugiati gestito dall’UNHCR, l’Agenzia ONU per i Rifugiati, e dai suoi partner in tutto il mondo. Kapya e il suo team, che lavora per l’impresa sociale Mifuko, con sede a Nairobi, hanno scolpito 2.000 esemplari di uccelli in legno di Jacaranda, un albero a crescita rapida che viene reperito localmente.
La nuova collezione MADE51 comprende 20 ornamenti, ognuno dei quali simboleggia la resistenza e la solidarietà, provenienti da 16 paesi. Gli ornamenti sono disponibili in scatole di carta riciclata con cartoline che spiegano il significato dietro l’oggetto e come è stato realizzato.
L’UNHCR ha lanciato MADE51 nel 2016 per aiutare le persone costrette a fuggire a guadagnare e per introdurre gli artigiani rifugiati nel mercato globale. Molte delle comunità di rifugiati avevano accesso alle materie prime e alle competenze per creare prodotti, ma mancava il sostegno. MADE51 ha riunito i rifugiati con imprese sociali che potevano aiutare con il marketing e il supporto logistico, oltre ad offrire consigli sulle tendenze dei consumatori e sul design.
Avere una rete di supporto è particolarmente importante ora. La pandemia di coronavirus, che ha ucciso più di 1,3 milioni di persone in tutto il mondo, minaccia la stabilità sociale ed economica. I rifugiati, la maggior parte dei quali vive nei Paesi più poveri del mondo, spesso dipendono dall’economia informale e sono quindi particolarmente vulnerabili. Molti hanno visto scomparire il loro salario giornaliero.
Rania Shrum, 39 anni, e la sua famiglia sono state costrette a fuggire dalla guerra in Siria e sono arrivate in Turchia sei anni fa. Negli ultimi quattro anni Rania ha lavorato con Bebemoss, un’impresa sociale di Istanbul. Lei e suo marito hanno faticato a sbarcare il lunario. Da quando è iniziata la pandemia, il lavoro del marito in un laboratorio di cucito è stato instabile.
Da bambina, Rania ha imparato da sua madre a fare i vestiti per i suoi giocattoli. Quando è venuta in Turchia, ha imparato a fare l’uncinetto. Lei e altre donne siriane rifugiate hanno realizzato i coloratissimi “Brave Ibis” per la collezione MADE51, che rendono omaggio all’ibis eremita, che vive in alcune zone della Siria.
“Il mio obiettivo per il futuro è quello di imparare ulteriormente e in modo più professionale a creare giocattoli e di essere in grado di realizzare all’uncinetto qualsiasi oggetto io veda”, ha detto Rania. “Voglio continuare perchè amo il mio lavoro”.
Dall’inizio della pandemia, molti laboratori hanno chiuso e gli artigiani hanno dovuto lavorare a casa. La riduzione dei voli ha comportato uno spazio di carico limitato e ritardi negli ordini. In India, una spedizione di oggetti per la collezione è riuscita a malapena a lasciare il paese in tempo. Tuttavia, MADE51 – che ha dovuto abbandonare il piano per erigere grandi espositori nei negozi al dettaglio per concentrarsi invece sulle vendite online – ha offerto un’ancora di salvezza a molti degli artigiani.
A Nuova Delhi, l’impresa sociale SilaiWali impiega rifugiati afghani per produrre bambole di pezza e altro a partire da materiali di scarto. Bishwadeep Moitra, che ha fondato l’organizzazione con sua moglie, Iris Strill, ha detto che da quando è iniziata la pandemia le donne devono venire a raccogliere i materiali e poi lavorare da casa. Per la collezione MADE51, le donne hanno cucito cavalli di feltro – un omaggio al paese che le ospita, dove il cavallo simboleggia lealtà, velocità ed energia.
“Posso mantenere la mia famiglia”, ha detto Humaira, che lavora con SilaiWali. “Quando vedremo la gente donare questi ornamenti agli altri, saremo molto felici perché li abbiamo fatti a mano”.
Ola Adeeb, rifugiata siriana di 21 anni che vive in Giordania, ha imparato a realizzare l’ornamento “Proud camel” da Mei Hayashi, fondatrice di Tribalogy, un’impresa sociale con sede in Giordania. Hayashi, laureata al Fashion Institute of Technology di New York, insegnava artigianato ai rifugiati del campo di Zaatari quando ha visto i dipinti di Ola in una mostra e ha subito chiesto di poterla conoscere.
“Il concetto dei suoi dipinti era molto sognante”, ha detto Mei. “Per esempio, ho visto questo dipinto di una ragazza che era seduta in cima a una collina e guardava il sole che tramontava da lontano. E in realtà il sole… è un orologio… Il suo lavoro ha davvero catturato la mia attenzione”.
Mei aveva visto dei portachiavi a forma di lama durante i suoi viaggi in Perù e pensava che prodotti simili – con i cammelli, invece dei lama, per rappresentare il deserto giordano – avrebbero venduto bene e sarebbero stati facili da spedire. Ha insegnato a Ola come farli, e presto la madre e la cognata di Ola si sono unite a lei. I cammelli di Ola sono stati venduti in Svizzera e in altre parti del mondo.
Tribalogy impiega un team di circa 30 donne, rifugiate e del luogo, che producono portachiavi e altri articoli. L’anno scorso l’impresa sociale ha aderito alla rete MADE51 e ha adattato il portachiavi a forma di cammello alla collezione..
“All’inizio era difficile. Stavo quasi per smettere, ma Mei e mio padre mi hanno incoraggiato a continuare a provarci finché non sono diventato brava”, ha detto Ola, che un giorno spera di studiare psicologia, moda o igiene dentale. “Guadagno bene… Mi permette di comprare medicine e di aiutare i miei genitori”.
Interviste con gli artigiani condotte dalle imprese sociali partner e dal personale dell’UNHCR sulla base delle domande fornite dall’autrice.
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