Con l’avvicinarsi della stagione dei monsoni, alcuni rifugiati si sono offerti volontari nel tentativo di proteggere i residenti degli insediamenti in continua espansione.
“Mi ricordo com’è stata ridotta una casa. Il temporale è stato così forte che la casa è crollata ed è stata trascinata via da una frana”, racconta Anwar, ricordando la prima stagione delle piogge trascorsa dai rifugiati Rohingya in Bangladesh dopo essere fuggiti in massa dal Myanmar, nel 2017.
“Due persone erano intrappolate e non riuscivano a muoversi. Alcuni cercavano di liberarle con delle asce, ma era molto pericoloso”, racconta.
“Gli abbiamo detto di fermarsi, e siamo intervenuti noi. Indossavamo guanti, stivali e abiti protettivi, e abbiamo iniziato a togliere la terra. Li abbiamo liberati. Abbiamo contribuito a salvare delle vite, e ne sono molto orgoglioso.”
Ogni anno, le piogge monsoniche cadono nel periodo compreso tra aprile e settembre. Il ruolo di Anwar e di altri rifugiati che hanno lavorato come volontari durante le piogge dello scorso anno è stato fondamentale per garantire la sicurezza della comunità.
Essendo tra i 50 volontari che lavorano nell’insediamento, Anwar ha ricevuto tre mesi di formazione, dedicata anche a primo soccorso e preparazione ai rischi di incendi e cicloni. Quella formazione si è rivelata estremamente preziosa.
Chakmarkul è un insediamento di rifugiati relativamente piccolo, che accoglie poco meno di 13.000 persone. Ma un’altra volontaria, Khalida Begum, vedova e madre di cinque bambini, afferma che lo scorso anno più di 200 alloggi nel solo insediamento di Chakmarkul sono stati danneggiati o distrutti dalle frane, e che squadre di volontari hanno messo al sicuro i suoi abitanti.
“Mi sono offerta volontaria per servire il popolo Rohingya… per proteggere la nostra comunità e salvare vite umane. Sappiamo che è pericoloso, ma ci sentiamo pronti perché abbiamo imparato come salvare vite”, spiega Khalida.
In Bangladesh, il picco della stagione dei monsoni si verifica tra luglio e agosto, quando si verificano frequentemente violenti nubifragi. L’anno scorso, in appena 24 ore, sono caduti più di 40 centimetri di pioggia.
Più di 740.000 tra i rifugiati Rohingya che sono fuggiti in Bangladesh dal 2017 si trovano nel distretto di Cox’s Bazar, dove si sono aggiunti alle oltre 168.000 persone fuggite dai precedenti cicli di violenza. L’ultima stagione delle piogge è stata un importante banco di prova, sia per i rifugiati e i loro fragili ripari di bambù, sia per le agenzie umanitarie che collaborano con il governo del Bangladesh. L’afflusso massiccio di rifugiati ha fatto sì che le famiglie costruissero ripari ovunque vi fosse un po’ di spazio, spesso su pendii ripidi o pianure alluvionali.
Lavorando in stretta collaborazione con i suoi partner e con la comunità di rifugiati, l’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, si è concentrata sul miglioramento dei fragili e densamente abitati insediamenti, costruendo chilometri di strade, scale e ponti.
Questa azione concertata ha permesso di installare sistemi di drenaggio e di migliorare le condizioni degli alloggi, oltre che di fornire alle famiglie attrezzatura per il fissaggio e teloni di plastica. Si è inoltre provveduto a predisporre articoli di primo soccorso e a potenziare le attrezzature per l’acqua potabile e i servizi igienici.
Molta enfasi è stata posta anche sulla formazione e sul rafforzamento delle comunità di rifugiati perché possano essere i primi a intervenire in caso di necessità. E mentre le agenzie umanitarie continuano a rafforzare le infrastrutture essenziali e a predisporre beni di prima necessità negli insediamenti, quest’anno la pianificazione delle emergenze è orientata verso un approccio maggiormente incentrato sul ruolo della comunità.
Oltre ai volontari delle unità di sicurezza, alcuni volontari incaricati della sensibilizzazione comunitaria vanno di casa in casa per diffondere informazioni e consapevolezza su come le famiglie possono proteggere meglio se stesse e i loro alloggi. I volontari che si occupano di assistenza sanitaria nella comunità si concentrano invece sulla prevenzione della diffusione di malattie, mentre i gruppi comunitari di volontari per uomini, donne e giovani si occupano anche di fornire assistenza pratica alle famiglie colpite dai nubifragi oltre che per la ricostruzione di strutture comunitarie danneggiate.
I rifugiati che si offrono volontari possono anche essere invitati a lavorare per mobilitare la comunità, sostenendo così le unità che occupano di protezione in risposta alle emergenze, facilitando il ricongiungimento di bambini alle loro famiglie in seguito a un’emergenza e fornendo consulenza di base e assistenza agli individui più vulnerabili in caso di necessità.
“In generale, le condizioni degli insediamenti sono notevolmente migliorate rispetto all’anno scorso, nonostante monsoni e cicloni rappresentino ancora un grave pericolo per l’incolumità dei rifugiati”, ha affermato Oscar Sanchez Pineiro, senior field coordinator di UNHCR a Cox’s Bazar.
“Quest’anno, oltre a predisporre l’attrezzatura necessaria, abbiamo formulato un piano per mettere le comunità di rifugiati al centro della risposta alle emergenze, attraverso le loro capacità di preparazione e di risposta alle calamità, unitamente al sostegno da parte del nostro personale.
“Lo scorso anno i rifugiati hanno mostrato un elevato livello di solidarietà e di autonomia; l’UNHCR continuerà a fornire opportunità di formazione per rafforzare le loro capacità di primo intervento, nonché di riparazione di infrastrutture, consulenza, primo soccorso di base, evacuazione temporanea e segnalazione di incidenti”, ha aggiunto.
Avendo affrontato varie sfide nel corso del 2018, i rifugiati hanno acquisito esperienze e si sentono più preparati a gestire i pericoli legati alle condizioni meteorologiche. Nonostante ciò, molti sono preoccupati all’idea della distruzione che provocherebbe un ciclone abbattendosi sugli insediamenti.
“Siamo preparati, ma anche molto nervosi”, spiega Kasim, un volontario del Gruppo degli Uomini a Chakmarkul, che si riunisce regolarmente per discutere di questioni che riguardano la comunità e per gestirle attraverso progetti elaborati e organizzati dai rifugiati stessi. Il gruppo ha fatto notevoli progressi durante il periodo dei monsoni dello scorso anno, assistendo le famiglie colpite dalle frane, rimuovendo il fango che aveva invaso le abitazioni e riparando gli alloggi danneggiati.
“Gli alloggi non sono affatto resistenti. Anche il terreno è morbido e si smuove facilmente. Molti alberi sono stati tagliati per costruire ripari e ottenere legna da ardere. A causa della deforestazione siamo più vulnerabili, e potremmo essere soggetti a molti più pericoli. Dobbiamo rimanere vigili, tenere gli occhi e le orecchie aperti”, spiega Kasim.
“Dobbiamo lavorare tutti insieme per salvaguardare le nostre case e le nostre vite. Una persona sola non può fare molto. Dobbiamo essere uniti per affrontare i pericoli e reagire”, ha aggiunto, sottolineando lo spirito comunitario che è cresciuto nell’insediamento. “Se muoio, sarà stata persa una vita. Ma se salvo altre persone, molte vite saranno risparmiate.”
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