Mentre le migrazioni forzate dovute alla violenza aumentano nel nord del Mozambico, i civili coinvolti nella crisi mostrano resilienza e solidarietà di fronte alle avversità.
La 31enne, madre di tre figlie, stava lavorando nei campi e si occupava della coltivazione di manioca e riso della famiglia, quando suo marito le ha telefonato per dirle che la città era sotto attacco e di prendere le bambine e scappare. Sono andate verso la spiaggia.
“Ho camminato e nuotato nell’acqua. Dovevo portare le mie figlie in salvo”, ricorda Maria. “Potevo vedere altri lottare nell’acqua; alcuni non ce l’hanno fatta. Era terribile”.
Dopo circa 15 minuti, hanno raggiunto la riva e hanno viaggiato per due giorni per raggiungere la città di Quitunga, circa 15 chilometri a sud di Palma, dove sono state ospitate da parenti.
“Siamo stati fortunati ad avere un tetto sulla testa e cibo per i bambini, dato che molte famiglie dormivano per strada senza niente”, dice. Non aveva notizie della sicurezza o della posizione del marito, con tutte le comunicazioni da Palma completamente interrotte.
Dopo tre giorni a Quitunga, il suono degli spari riempiva l’aria – era ora di scappare di nuovo. La famiglia è partita in barca, arrivando all’inizio di aprile a Pemba, la capitale della provincia di Cabo Delgado.
La maggior parte dei nuovi arrivati alloggia presso parenti e amici, ma Maria, che non ha parenti a Pemba, alloggia con altri 250 sfollati in un impianto sportivo convertito dal governo in un centro di transito.
Dal 24 marzo, oltre 19.000 persone sono fuggite da Palma nelle città di Nangade, Mueda, Montepuez e Pemba. Si pensa che altre migliaia di persone siano sfollate all’interno del distretto di Palma. Quasi 700.000 persone, soprattutto donne, bambini e anziani, sono sfollati interni nelle province di Cabo Delgado, Niassa, Nampula, Sofala e Zambesia, a causa di attacchi e violenze ricorrenti da parte di gruppi armati non statali da ottobre 2017.
L’UNHCR, Agenzia ONU per i Rifugiati, ha fornito servizi di protezione e articoli di soccorso come stuoie per dormire e coperte ai residenti del centro di transito, oltre a vagliare e verificare i dettagli degli arrivi e identificare le persone più vulnerabili che hanno bisogno di assistenza urgente.
Nelle due settimane in cui è stata qui, Maria si è offerta volontaria con l’UNHCR per aiutare a organizzare discussioni con i nuovi arrivati e spiegare l’importanza del COVID-19 e delle misure di prevenzione del colera ad altre donne. Aiuta anche a identificare le sopravvissute alla violenza di genere e le indirizza all’UNHCR perchè possano ricevere assistenza.
“Mi sento gratificata facendo questo lavoro. Ho imparato molto sull’empowerment delle donne e su come possiamo prenderci più cura di noi stesse. Ora, voglio condividere questa conoscenza con gli altri in modo che possano migliorare le loro vite”, spiega.
Ogni mattina prepara dei secchi d’acqua per aiutare le persone a lavarsi le mani come parte delle misure di prevenzione del COVID-19. Dice di aver notato miglioramenti nelle pratiche igieniche tra la popolazione sfollata come risultato delle discussioni di gruppo e delle sessioni di formazione.
“Non è facile cambiare il comportamento delle persone, ma a poco a poco, più donne e uomini si preoccupano dell’igiene. È davvero importante, soprattutto nei luoghi affollati, per prevenire la diffusione delle malattie”, aggiunge.
Maria ha partecipato alla formazione sulla prevenzione dello sfruttamento e dell’abuso sessuale, e aiuta a tradurre il materiale di sensibilizzazione dall’inglese al Kimwani, il dialetto parlato a Palma.
Margarida Loureiro, il capo dell’ufficio dell’UNHCR a Pemba, sottolinea il ruolo critico che i volontari come Maria svolgono.
“Per quanto lavoriamo per la comunità, lavoriamo anche con la comunità. È fondamentale per noi coinvolgere gli sfollati e le comunità ospitanti, per comprendere appieno i loro bisogni”, spiega.
Anche se Maria è afflitta da una costante preoccupazione per la sicurezza di suo marito, sta cercando di essere forte per le sue figlie, di 5, 13 e 15 anni, alle quali dice che il padre manca terribilmente. Non ha piani su cosa fare dopo, ma la sua priorità è quella di riunirsi con suo marito.
“Ogni giorno, quando mi sveglio, spero davvero di trovarlo alla porta del centro di transito, in buone condizioni”, dice.
Per ora, è contenta di essere al sicuro con le sue figlie, che spera “possano un giorno riprendere la scuola e avere la possibilità di scegliere il loro futuro”.
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