La Giornata mondiale delle città celebra l’importanza di creare comunità inclusive che diano vita a centri urbani forti e animati.
Quando si pensa ai rifugiati, la prima cosa che viene in mente sono gli immensi campi pieni di tende. Ma sapevi che la maggior parte delle persone costrette a fuggire dalle proprie case a causa di violenze o persecuzioni vive in aree urbane? Più del 60% di circa 26 milioni di rifugiati presenti nel mondo e più dell’80% di 46 milioni di persone fuggite dalle proprie case ma rimaste all’interno del proprio Paese (sfollati interni) vivono in centri urbani.
Le persone costrette a fuggire da guerre o persecuzioni, come pure coloro che sono privi di nazionalità (apolidi), spesso non hanno accesso a un’istruzione, a un’assistenza sanitaria e a posti di lavoro di qualità. Nel 2018, l’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, ha lanciato la campagna Cities #WithRefugees che mira a creare una rete di città disposte ad accogliere le famiglie costrette alla fuga e a includerle nelle politiche e nel processo decisionale. Più di 250 città in 50 Paesi si sono impegnate a offrire il loro supporto.
Oggi più che mai la campagna assume un’importanza cruciale. La pandemia di coronavirus ha esacerbato le disuguaglianze, devastato le economie e costretto centinaia di milioni di bambini a interrompere gli studi. Diventa dunque fondamentale includere le persone costrette alla fuga nelle azioni di risposta sanitaria, così come nei piani di ripresa sociale ed economica.
È anche una mossa intelligente perché rafforza le città che accolgono i nuovi arrivati. I rifugiati sono insegnanti, negozianti, ingegneri – i nostri vicini. A fronte del perdurare dell’epidemia di COVID-19, molti di loro lavorano come infermieri, medici e soccorritori. Riconoscendo un enorme mercato non sfruttato, diversi Paesi e alcuni stati degli Stati Uniti hanno agevolato il conseguimento del permesso di lavoro per gli operatori sanitari rifugiati, spesso una procedura lunga e costosa, soprattutto per coloro che si sono specializzati all’estero.
Riportiamo qui di seguito le misure attuate da quattro città che hanno garantito una casa a chi è arrivato in cerca di protezione, e come questo sia stato di beneficio per la comunità.
Milano è da sempre un esempio per il resto dell’Italia, dell’Europa e del mondo grazie alle sue politiche e pratiche che consentono di integrare i rifugiati nel tessuto di questa capitale della moda. Nel 2018, quando una legge nazionale ha imposto maggiori restrizioni ai richiedenti asilo, Milano ha fatto in modo che fosse ancora possibile per chi viveva in città accedere al lavoro, alla scuola e al sistema sanitario pubblico. Da allora la normativa nazionale si è maggiormente orientata verso l’integrazione dei rifugiati, ma Milano continua a distinguersi.
Il sindaco della città, Giuseppe Sala, fa parte del Consiglio dei sindaci per la migrazione, che sostiene politiche più inclusive per migranti e rifugiati. In risposta alla pandemia di coronavirus, insieme ad altri membri del Consiglio, ha sollecitato i governi locali e nazionali affinché garantiscano che tutti abbiano equo accesso all’assistenza sanitaria e agli aiuti economici indipendentemente dal loro status. Il Consiglio ha inoltre esortato le autorità competenti a includere migranti e rifugiati nello sviluppo e nell’attuazione delle azioni di risposta alla pandemia e a “combattere la disinformazione, il razzismo e la xenofobia”.
“Miriamo a costruire una risposta inclusiva per i bambini rifugiati e migranti”, ha detto il sindaco. “La mobilità umana è una delle sfide più urgenti del nostro tempo e richiede una risposta congiunta pragmatica, piuttosto che ideologica”.
Il Brasile ospita circa 364.000 persone costrette alla fuga, metà delle quali sono scappate dalle violenze e dall’instabilità del vicino Venezuela. Da decenni San Paolo è in prima linea nella lotta per l’inclusione di rifugiati, migranti e apolidi in politiche e pratiche di governo. Migranti e rifugiati sono infatti inclusi nelle azioni di risposta alla pandemia di COVID-19, garantendo la diffusione delle informazioni in più lingue. La città fornisce anche aiuti economici, cibo, assistenza sanitaria e alloggio a coloro che sono stati colpiti dalla pandemia, inclusi rifugiati e migranti. Grazie alla collaborazione con l’UNHCR la città ha creato un programma speciale per migranti e rifugiati transgender atto a evitare che siano discriminati nella risposta al COVID-19.
Il prossimo anno, San Paolo lancerà ufficialmente il suo primo Piano municipale di politiche pubbliche per rifugiati e migranti volto a garantire che la politica pubblica soddisfi le esigenze dei migranti residenti in città. Un ruolo centrale nello sviluppo del progetto è stato svolto dal Consiglio municipale per l’immigrazione, organo eletto di rifugiati e migranti. Uno dei membri, Jean Katumba, è un ingegnere fuggito dalla persecuzione politica nella Repubblica Democratica del Congo. Quando è arrivato in Brasile nel 2013, viveva in un rifugio pubblico con altri rifugiati. Ora è un leader della comunità e sta conseguendo un diploma post-laurea in diritto internazionale. Ha spiegato all’UNHCR l’importanza del ruolo che i rifugiati possono svolgere nel definire le politiche. “Nessuno può essere consapevole dei desideri di un’altra persona, ad eccezione della persona coinvolta” ha affermato Jean. “Le percezioni che abbiamo, le idee che miriamo a realizzare e la volontà di renderle possibili sono la mia fonte di ispirazione”.
Sulla base degli ultimi dati di censimento resi noti (2016), circa un quinto di coloro che vivono nella città di Victoria sono migranti o rifugiati. Victoria si vanta di essere una città che lavora con tutti i settori della società per creare un ambiente inclusivo e accogliente per i nuovi arrivati. Riserva inoltre 50.000 dollari del suo budget per investimenti in progetti che agevoleranno la vita ai nuovi arrivati, uno schema sviluppato in parte dal consigliere comunale Sharmarke Dubow.
Dubow ha svolto un ruolo chiave nel trasformare Victoria in una “Città accogliente”, all’interno di una rete che si adopera per includere le politiche e le pratiche relative alla situazione di immigrati e rifugiati. Sharmarke è fuggito dalla guerra civile in Somalia nel 1992, quando aveva solo otto anni. Ha vissuto in un campo per rifugiati in Kenya e poi in Etiopia ed Egitto prima di approdare in Canada nel 2012 grazie all’aiuto dell’UNHCR. Ha lavorato con la Victoria Immigrant and Refugee Centre Society e l’Inter-cultural Association of Greater Victoria prima di essere eletto nel consiglio comunale nel 2018 (e dopo aver acquisito la cittadinanza canadese nel 2017). Oltre al progetto di investimento, si è adoperato per garantire la libera circolazione dei giovani sotto i 18 anni e dei rifugiati appena arrivati (per un anno, indipendentemente dall’età). Ha infine lavorato con l’Agenzia umanitaria internazionale KhalsaAid Canada per portare generi alimentari e cibo a famiglie prive di documenti e rifugiate durante la pandemia di coronavirus.
“La pandemia di COVID-19 ha causato grande stress e incertezza alle nostre comunità” ha dichiarato Sharmarke all’UNHCR. “Le mie esperienze di rifugiato e il fatto di aver vissuto per più di 20 anni in una situazione di insicurezza mi hanno aiutato a essere un leader”.
A partire dalla fine della Seconda guerra mondiale, Vienna ha iniziato ad accogliere massicci flussi di rifugiati, tra cui coloro che fuggivano dall’Ungheria a seguito della rivoluzione del 1956, all’indomani della Primavera di Praga del 1968 e a seguito della guerra nell’ex Jugoslavia negli anni ’90. Ma è nell’ultimo decennio che la città è diventata un modello di integrazione. Attualmente segue un modello di “integrazione sin dal primo giorno”, anche mentre il Paese assume posizioni più dure nei confronti di richiedenti asilo e migranti.
Nel 2016, dopo che l’anno precedente decine di migliaia di rifugiati erano arrivati in città, i leader hanno lanciato un programma chiamato CORE, che invitava i rifugiati a lavorare con le istituzioni pubbliche e la società civile per sviluppare programmi di sostegno. Il team CORE ha celebrato il successo del programma lo scorso ottobre, concludendolo, ma i progetti che sono stati avviati sulla sua scia continuano a essere portati avanti. Tra questi figurano; un corso di certificazione presso l’Università di Vienna per insegnanti rifugiati e un programma di tutorato tra pari che riunisce cinque istituzioni cittadine e rifugiati per discutere questioni sociali, istruzione, diversità, occupazione e altro ancora.
Jürgen Czernohorszky, Consigliere esecutivo comunale per l’istruzione, l’integrazione, la gioventù e il personale, ha dichiarato all’UNHCR: “C’è stato un enorme impegno della società civile… Ad essere onesti, non ce l’avremmo fatta senza i volontari. Questo è ciò di cui abbiamo bisogno: il cuore aperto delle persone che vivono in città”.
L’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, è un’organizzazione globale che si adopera per salvare vite umane, proteggere i diritti e costruire un futuro migliore per rifugiati, sfollati interni e apolidi.
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