Mentre si attende la ripresa dei pericolosi viaggi via mare nella Baia del Bengala, i paesi della regione hanno oggi affermato che l’unico modo per ridurre le perdite di vite umane in mare è lavorare insieme per fronteggiare i movimenti migratori misti con approcci complessivi e sostenibili.
Venerdì scorso, delegati da più di 20 paesi e organizzazioni internazionali si sono incontrati a Bangkok per il secondo “incontro speciale sulla migrazione irregolare nell’Oceano Indiano”. I delegati hanno fatto il punto sui risultati raggiunti a partire dallo scorso incontro di maggio, quando circa 5.000 rohingya e bangladesi erano sbarcati dopo settimane alla deriva nel mare.
“Con 60 milioni di persone sfollate nel mondo oggi, un numero senza precedenti, è diventato ormai chiaro che la questione dei movimenti forzati è un fenomeno globale che nessun paese può risolvere da solo,” ha detto Volker Türk, Assistente per la Protezione dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati.
“I numeri che osserviamo in questa regione possono essere gestiti, e noi accogliamo con favore l’approccio regionale proposto,” ha aggiunto. “Il fatto che solo 1.000 persone hanno intrapreso il viaggio in mare da settembre, ci offre uno spazio di opportunità per mettere in atto questi piani.”
Durante l’incontro, l’UNHCR, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM) e l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Controllo della Droga e la Prevenzione del Crimine (UNODC), hanno presentato un documento che offre una guida agli Stati colpiti dal fenomeno sulle risposte immediate che possono porre in essere quando questo tipo di movimenti riprenderanno. Il documento delinea la necessità di maggiori e coordinati sforzi per la ricerca e il salvataggio in mare, per le operazioni di sbarco prevedibili così come per un’accoglienza e permanenza ben organizzate. Sottolinea anche l’importanza di procedure di registrazione effettive per identificare le persone che hanno bisogno di protezione internazionale e i gruppi vulnerabili come donne, bambini e vittime di tratta.
“Finché i rifugiati potranno tornare a casa in modo volontario, dignitoso e sicuro, avremo bisogno di trovare forme di riparo temporaneo, di accolgienza umanitaria alternativa che assicurino loro l’accesso alla sanità, all’educazione, al lavoro,” ha detto Türk. “Permettere loro di lavorare in paesi che hanno bisogno di manodopera e importano lavoro è una strategia doppiamente vincente: dà loro dignità e autonomia, e alleggerisce l’onere dei paesi ospitanti”.
Aprendo i lavori, il Ministro degli Esteri tailandese Don Pramudwinai ha sottolineato che le soluzioni devono andare dalla prevenzione alla cura, e comprendere promozione di mezzi di sostentamento, migrazione sicura, applicazione severa della legge, e una protezione temporanea per chi è già partito, sospendendo soluzioni più durature.
Durante una recente visita nella regione ddel Myanmar Rakhine, Türk, dell’UNHCR, ha notato progressi nell’individuazione di soluzioni per gli sfollati interni, ma ha anche sentito delle “lamentele legittime” che devono ancora essere affrontate.
“Il cuore della questione è assicurare un’identità legale a tutte le persone del territorio del Myanmar e le libertà fondamentali che ne derivano, come la libertà di movimento, la non-discriminazione e l’accesso ai servizi,” ha dichiarato. “Speriamo che il nuovo governo darà a questa questione l’attenzione che merita, alla luce del fatto che la mancanza di questi diritti innesca i trasferimenti e, di conseguenza, ha delle ripercussioni internazionali”.
Ha aggiunto che gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile offrono il quadro di riferimento per affrontare le cause profonde e assicurare che nessuno sia lasciato indietro rispetto a salute, educazione, lavoro e dignità legale, tra gli altri diritti.
Si stima che circa 95.000 persone abbiano intrapreso questo pericoloso viaggio dal 2014, con più di 1.000 morti in mare e centinaia trovati sepolti in fosse comuni non riconosciute.
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