L’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, esprime nuovamente apprensione per l’incessante ondata di attacchi violenti perpetrati ai danni delle popolazioni locali nella provincia di Ituri, nella Repubblica Democratica del Congo (RDC), dove, in soli due mesi, oltre 200.000 persone sono state costrette a fuggire dalle proprie case.
L’UNHCR, inoltre, esprime nuovamente preoccupazione per l’inesorabile riduzione degli spazi a disposizione delle agenzie umanitarie causata dagli attacchi continui, che impediscono di raggiungere quanti hanno disperato bisogno di assistenza. L’UNHCR chiede a tutte le parti in conflitto di rispettare le vite dei civili e di consentire agli operatori umanitari di prestare assistenza.
Nella RDC, le persone costrette a fuggire sono cinque milioni, di cui 1,2 milioni nella provincia di Ituri.
Le tensioni sono in costante crescita da dicembre 2019, quando il Governo lanciò un’operazione militare contro vari gruppi armati operativi nell’area. Da metà marzo le violenze si sono riacuite, con il moltiplicarsi del numero di controffensive condotte da gruppi armati. Nel territorio di Djugu, nella provincia di Ituri, negli ultimi 60 giorni l’UNHCR e i partner hanno registrato più di 3.000 gravi violazioni di diritti umani verificatesi nel corso dei quasi 50 attacchi perpetrati in media ogni giorno ai danni della popolazione locale.
Gli sfollati hanno riferito di essere state testimoni di episodi di estrema violenza, tra cui l’uccisione di almeno 274 civili con armi come i machete. 140 donne sono state vittime di stupro e quasi 8.000 case sono state incendiate.
Analogamente alle tendenze registrate in passato, la stragrande maggioranza delle persone in fuga è composta da donne e bambini, molte delle quali ora vivono in ambienti sovraffollati presso famiglie di accoglienza. Altri dormono all’aperto o all’interno di edifici pubblici quali scuole, attualmente non utilizzate a causa delle misure imposte per contenere la diffusione del COVID-19.
Sia gli sfollati sia le comunità che li accolgono vivono una condizione di vulnerabilità dovuta a offensive, controffensive e violenze continue.
Alcuni degli sfollati che si sono assunti il rischio di fare ritorno a casa sono divenuti nuovamente oggetto di persecuzione, dal momento che aggressioni e minacce ad opera di gruppi armati non si sono fermate. Il 24 aprile, è stato riferito che quattro persone che avevano fatto ritorno a Nyangaray risultavano uccise, mentre altre 20 famiglie sono state rapite da un gruppo armato. Nel territorio di Mahagi, risulta che due persone tornate recentemente sono state sepolte vive da un gruppo di uomini armati, dopo essere state accusate di aver rubato beni del valore di 6 dollari.
L’accesso degli aiuti umanitari ai territori di Djugu e Mahagi è fortemente limitato. Ad aprile, le strade principali che collegano il capoluogo di provincia, Bunia, col territorio di Djugu, sono rimaste chiuse per quasi tre settimane, e continuano a restare non sicure per l’accesso.
L’UNHCR esprime preoccupazione per la sicurezza degli sfollati, col timore che l’assenza di aiuti umanitari potrà determinare un impatto enorme, dato il crollo delle opportunità di reddito causato dalla pandemia da COVID-19. Anche quello della fame rappresenta un rischio reale, in una fase in cui i prezzi degli alimenti salgono a causa dell’approvvigionamento limitato in entrambi i territori.
L’UNHCR e i partner stanno lavorando per assicurare scorte di beni di prima necessità e costruire ulteriori alloggi da destinare ai nuovi sfollati. Tuttavia, gli insediamenti di sfollati interni stanno divenendo rapidamente sovraffollati a causa del numero elevato di persone in arrivo e della disponibilità limitata di terreno. La carenza di fondi, inoltre, sta condizionando le capacità dell’Agenzia di soddisfare le esigenze più basilari delle popolazioni sfollate: l’appello per la raccolta di 154 milioni di dollari da destinare alle operazioni nella RDC, è finanziato solo per il 18 per cento.
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