La recente offensiva dell’ISIS contro la città di Hit, nella provincia irachena di Anbar, ha scatenato una nuova ondata di migrazioni forzate interne nell’Iraq centrale, mentre nel nord del paese si riversano gruppi sempre più numerosi di siriani in fuga dalla città di Kobane (in Siria), attraverso la Turchia.
Negli ultimi giorni, si stima che circa 180.000 persone sono fuggite dalla città, situata a 180 km da Baghdad, e dalle zone circostanti, a seguito della presa di Hit da parte dell’ISIS e di gruppi armati affiliati nel fine settimana, . La popolazione locale, per lo più sunnita, e altri cittadini iracheni che lì avevano trovato rifugio in passato, sono fuggiti a Ramadi, Khaldiya, Hadithat, Rawa, Ana, Amiryah Rahaliya e altre località nella provincia di Anbar, e ancora più lontano, a Kerbala e a Baghdad. Molti alloggiano da parenti e amici, o presso scuole, moschee e strutture pubbliche che già ospitano gruppi di sfollati interni iracheni sempre più numerosi.
Fino a poco tempo, Hit era un rifugio sicuro per chi scappava da precedenti ondate di violenza a Ramadi, Falluja e altre zone di Anbar, e dava accoglienza a circa 100.000 sfollati. L’esodo dalla città rappresenta la quarta grande ondata migratoria in meno di un anno in Iraq e, per molte delle persone coinvolte, è il secondo, terzo o addirittura quarto spostamento da gennaio. Decine di migliaia di iracheni disperati sono costretti a una fuga continua ogni volta che cambiano le linee del fronte nel conflitto.
Ieri, durante una rapida valutazione delle esigenze nella zona ovest di Baghdad, il personale di campo dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) ha incontrato alcuni migranti, tra cui una donna di 30 anni, originaria di Ramadi, che era appena fuggita da Hit con l’anziana madre e il fratello disabile. Da gennaio, la famiglia si è spostata tre volte per sottrarsi all’avanzata dell’ISIS in tutta Anbar, prima per andare a Khaldiya, dove è rimasta otto mesi, poi è fuggita a Hit per un mese e nei giorni scorsi è dovuta ancora una volta scappare per mettersi in salvo.
Un’altra donna di 27 anni con due bambini piccoli ha abbandonato Hit, sua città natale, dopo che suo marito è stato ucciso dai bombardamenti. Sebbene avesse paura di lasciare la sua casa, ancora più grande era il timore delle conseguenze che le nuove regole imposte dall’ISIS avrebbero avuto su di lei e sui suoi figli se fosse rimasta, dopo aver sentito storie di parenti ad Al Qaim e altri luoghi di Anbar già controllate dal gruppo. Dopo un lungo viaggio di 14 ore per Baghdad via Kerbala, si trova ora dai suoi parenti. Queste famiglie si uniscono ai 75.000 sfollati di Baghdad le cui principali preoccupazioni riguardano la ricerca di una sistemazione, di assistenza sanitaria e di una fonte di reddito, e si vanno ad aggiungere ai 1,8 milioni di cittadini in tutto il paese che sono stati costretti ad abbandonare le proprie case nel corso di quest’anno.
L’UNHCR sta inviando materassi, taniche, coperte e altri generi di soccorso a Ramadi, Kerbala, Abu Greihb e nella zona ovest di Baghdad, dove sono fuggiti gli sfollati. Tuttavia, l’accesso umanitario a molte aree della provincia di Anbar è estremamente limitato a causa del conflitto in corso.
Nel frattempo, nel nord dell’Iraq, un numero crescente di curdi siriani provenienti da Kobane sta cercando rifugio nella provincia di Dohuk dopo aver attraversato il confine dalla Turchia. Venerdì sera le autorità curde hanno aperto la frontiera di Ibrahim Khalil, vicino a Zakho, facilitando il viaggio per il flusso costante di persone che la scorsa settimana aveva dovuto pagare ai trafficanti una somma di 250 dollari a testa per poter attraversare il confine.
Circa 5.400 siriani provenienti da Kobane sono ora entrati in Iraq, tra cui 3.600 persone nelle ultime 72 ore. Si prevede che nei prossimi giorni arriveranno altri flussi, per un totale compreso tra le 10.000 e le 15.000 persone.
Stando alle testimonianze dei rifugiati siriani, sono molte le ragioni per proseguire il viaggio dalla Turchia, tra cui: i disordini civili; l’alto costo della vita; la difficoltà di ricevere gli aiuti, soprattutto con l’inverno alle porte e i legami famigliari con chi vive già nella regione del Kurdistan iracheno. Tra i nuovi arrivati dei giorni scorsi c’è Mohammed, 55 anni, che soffre di un’infezione polmonare ed è attaccato a una bombola di ossigeno. È stato portato in Turchia dai figli. La famiglia ha speso quel poco denaro che aveva per l’alloggio, il cibo e il viaggio nelle due settimane trascorse in Turchia. Una volta registrati in Iraq, Mohammed spera di raggiungere il fratello nella capitale regionale di Erbil.
All’arrivo in Iraq, i richiedenti asilo vengono sottoposti a controlli dalle autorità di frontiera e trasferiti dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (IOM) al campo di Gawilan, allestito un anno fa per precedenti ondate di rifugiati siriani. Ma nella giornata di ieri il campo ha raggiunto la sua capacità massima di accoglienza e i nuovi arrivi da oggi in poi saranno portati al campo di Arbat nella provincia di Suleymaniyah, che può ospitare altre 7.000 persone. I progetti di ampliamento del campo di Darashakran nella provincia di Erbil, nel caso di ulteriori arrivi, sono già in fase di discussione con le autorità.
L’UNHCR sta inoltre allestendo un centro di accoglienza alla frontiera di Ibrahim Khalil per proteggere i nuovi arrivati dalle intemperie durante i controlli dei funzionari di frontiera. Le squadre di protezione dell’UNHCR e i suoi partner sono al confine per identificare le persone particolarmente vulnerabili.
L’Iraq ospita già circa 214.000 rifugiati siriani, la stragrande maggioranza dei quali risiede nella regione del Kurdistan iracheno. Gli oltre 1,8 milioni di sfollati interni nel 2014 si vanno ad aggiungere al milione circa di sfollati interni fuggiti alla violenza negli anni precedenti.
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