I pesanti combattimenti degli ultimi due mesi negli Stati di Unity e Upper Nile nel Sud Sudan hanno provocato la migrazione forzata di più di 100.000 persone e bloccato le consegne di aiuti umanitari per circa 650.000 persone, dal momento che le organizzazioni umanitarie sono state costrette a ritirarsi. Dall’inizio dell’anno, circa 60.000 cittadini sud sudanesi hanno lasciato il paese, per raggiungere soprattutto il Sudan (30.000), l’Etiopia (15.000) e l’Uganda (15.000), portando il numero di sud sudanesi fuggiti dal paese da dicembre 2013 a circa 555.000, mentre gli sfollati all’interno del paese sarebbero circa 1,5 milioni.
I rifugiati citano la recrudescenza dei combattimenti, ma anche la crescente insicurezza alimentare tra le principali ragioni che li hanno indotti a fuggire dalle loro case. Si stima che non abbiano cibo a sufficienza più di 3,8 milioni di persone, cioè un terzo della popolazione del Sud Sudan, che è di 11 milioni di persone.
Tutti gli uffici dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite (UNHCR) in Sudan, Etiopia e Uganda hanno registrato un forte aumento degli arrivi nel mese di maggio.
Solo la scorsa settimana, circa 6.000 sud sudanesi sono arrivati nel White Nile State e nel Sud Kordofan in Sudan. La maggior parte si trovano nel White Nile State, dove l’87 per cento delle famiglie di rifugiati hanno per capofamiglia una donna e il 72 per cento sono bambini. Attualmente, i rifugiati che arrivano sono ospitati nella zona del confine e all’interno di un sito aperto di recente, chiamato El Redis II. Considerato il peggioramento delle condizioni di sicurezza e della situazione umanitaria sul lato sud sudanese del confine, l’UNHCR e i suoi partner si stanno preparando per un aumento del flusso di rifugiati. L’imminente stagione delle piogge rende necessario predisporre gli aiuti in anticipo, dal momento che molte delle aree in cui si trovano i rifugiati possono diventare inaccessibili. Per garantire continuità all’assistenza umanitaria, l’UNHCR sta costruendo una banchina sul Nilo Bianco e nuove strade per raggiungere i siti in cui si trovano i rifugiati. Le condizioni dell’acqua e dei servizi igienico-sanitari in molti di questi siti devono essere rapidamente migliorate.
In maggio nella regione di Gambella in Etiopia, sono stati registrati più di 6.100 rifugiati sud sudanesi, quando invece nel mese di aprile il numero era di 4.800. Il mese precedenti gli arrivi mensili erano stati meno di 1.000. Inoltre, si stima che 7.000 sud sudanesi si trovino nei punti di ingresso di Pagak e Akobo in attesa di essere registrati. L’UNHCR, la controparte governativa e altri partner stanno predisponendo un nuovo sito vicino al già esistente campo rifugiati di Pugnido per accogliere i nuovi arrivati e come misura di emergenza in previsione di arrivi futuri.
Allo stesso tempo, nel corso delle ultime tre settimane, più di 47.000 rifugiati sud sudanesi che si erano stabiliti in zone inondate durante la pesante stagione delle piogge dello scorso anno sono stati ora trasferiti in un nuovo campo rifugiati a Jewi vicino a Gambella. Gli ex siti per rifugiati di Leitchour e Nip Nip sono in via di risistemazione e saranno consegnati alle comunità ospitanti.
Anche l’ufficio dell’UNCHR in Uganda riporta un aumento degli arrivi – circa 4.000 rifugiati – rispetto al mese scorso. Molti dei rifugiati che arrivano riferiscono di essere fuggiti dai combattimenti in corso all’interno e intorno alla città di Malakal, nell’Upper Nile State, ma anche dalla crescente insicurezza alimentare e dall’aumento dei prezzi per i beni di prima necessità. I nuovi arrivati vengono trasferiti dal centro di transito di Nyumanzi nell’insediamento di Maaji, recentemente ampliato, nonché in altri insediamenti già esistenti.
Con il rapido aumento del numero di sud sudanesi in fuga dal proprio paese, l’UNHCR esprime grave preoccupazione per il fatto che il Piano di risposta regionale per i rifugiati del Sud Sudan per il 2015, che copre i programmi per i rifugiati nei paesi limitrofi, gestito da UNHCR e da 39 partner, sia finanziato solo al 10 per cento. Molte attività di vitale importanza, come la fornitura di acqua potabile, di servizi igienico-sanitari, di cibo e di alloggi rimangono pertanto gravemente sottofinanziate.
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