Questa settimana, l’ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) in Thailandia ha appreso dalle autorità e dai servizi dei media che sono stati trovati oltre 30 corpi in fosse scavate nei campi di trafficanti nella provincia meridionale di Songkhla, vicino al confine con la Malaysia. I corpi potrebbero essere di persone provenienti dal Myanmar e dal Bangladesh, probabilmente morti per malattia o abusi. Alcune vittime potrebbero anche essere state persone in cerca di protezione internazionale.
L’UNHCR accoglie con favore le indagini della polizia thailandese sulla vicenda e auspica che i colpevoli siano individuati e assicurati alla giustizia. Ma allo stesso tempo l’Agenzia esprime anche sconcerto per queste morti. Le rotte di traffico via mare dall’area del Golfo del Bengala alla volta della Thailandia e poi della Malaysia sono diventate sempre più lucrose per i trafficanti, e sempre più pericolose per il loro carico umano.
Nonostante i rischi, ultimamente il numero di persone che ricorrono a queste vie e a questi mezzi è in aumento. Un rapporto periodico dell’UNHCR pubblicato nella giornata odierna stima che circa 25.000 Rohingya e cittadini del Bangladesh si sarebbero imbarcati su barche di trafficanti tra gennaio e marzo di quest’anno – quasi il doppio rispetto allo stesso periodo del 2014. Questi sono i dati che risultano dall’ultimo rapporto dell’UNHCR sui Movimenti irregolari via mare nel Sud-est asiatico attraverso il quale l’Agenzia ha evidenziato le proprie preoccupazioni e richiesto ai governi un intervento urgente sin dallo scorso agosto.
Nel periodo interessato dal rapporto, il personale dell’UNHCR ha parlato con diverse centinaia di sopravvissuti a questi viaggi. I loro racconti indicano un cambiamento nel modo in cui i trafficanti reclutano i passeggeri delle barche. Il costo iniziale delle traversate è spesso basso e in alcuni casi le persone sono imbarcate gratuitamente a condizione di ripagare il debito con i futuri guadagni in Malaysia. Potrebbero esserci casi di promesse di lavoro e persino di offerte di piccoli incentivi in contanti. Coloro che cambiano idea e chiedono di scendere dalle barche sono costretti a rimanere. Sono riportati casi di bambini rapiti dalle strade o durante la pesca, e costretti a salire sulle barche. Le persone non sono consapevoli che il denaro verrà estorto loro più avanti nel corso del viaggio e ciò che prima era iniziato come contrabbando presto si trasforma in traffico di esseri umani.
Sulla base dei racconti forniti dai sopravvissuti, si stima che 300 persone siano morte in mare nel primo trimestre del 2015 a causa di fame, disidratazione e abusi da parte degli equipaggi delle barche. Un superstite che ha trascorso 62 giorni in tali condizioni lo ha paragonato a un cimitero e ha riferito che aveva perso la speranza di raggiungere vivo la costa.
Il percorso più frequentemente descritto prevede che i passeggeri sbarchino nella zona di Ranong nel sud della Thailandia, per poi procedere in un giorno di viaggio fino ai campi dei trafficanti al confine con la Malaysia.
Le condizioni nel campo dei trafficanti sono terribili. Le persone sono detenute e maltrattate fino a quando i loro parenti non pagano per il loro rilascio. Più della metà dei sopravvissuti intervistati dall’UNHCR a partire da ottobre ha riferito che qualcuno è morto nel campo dei trafficanti dove sono stati trattenuti. I pestaggi sono comuni e ci sono segnalazioni di stupri. Coloro che cercano di fuggire, rischiano di essere fucilati.
L’UNHCR è consapevole che, a partire dallo scorso ottobre, alcuni trafficanti hanno abbandonato i campi all’interno del suolo thailandese, preferendo tenere i passeggeri in mare a scopo di riscatto. Una volta effettuato il pagamento, le persone vengono portate direttamente in Malaysia a bordo di imbarcazioni da pesca o barche veloci. Secondo l’ong The Arakan Project, attualmente potrebbero essere detenute diverse migliaia di persone – e decine potrebbero già essere morte – in questi “campi off-shore”.
Le persone che alla fine sono riuscite a raggiungere la Malaysia erano in pessime condizioni. Nei primi tre mesi del 2015, l’ufficio dell’UNHCR in Malaysia ha visto arrivare 61 persone di etnia Rohingya con sintomi di beri-beri, una malattia causata da carenza di vitamina B. Quelli che avevano la possibilità di guadagnare qualcosa lavorando nel settore informale hanno dovuto ripagare, spesso con alti tassi di interesse, i debiti a quelli che avevano precedentemente pagato per la loro liberazione.
Nel caso di persone soccorse dai campi dei trafficanti in Thailandia, l’UNHCR fornisce assistenza portando abiti, coperte, kit igienici e altri aiuti. I team dell’Agenzia conducono anche interviste e offrono un servizio di consulenza. L’UNCHR aiuta le famiglie che sono state divise durante il viaggio a riunificarsi e, per i più vulnerabili, si lavora per individuare le possibilità di reinsediamento in paesi terzi.
In Malaysia, l’Agenzia vigila sulla protezione delle comunità di etnia Rohingya e interviene per la liberazione di coloro che vengono incarcerati in quanto arrivati irregolarmente. L’ufficio dell’UNCHR supporta le comunità di rifugiati anche nelle attività finalizzate a procurarsi mezzi di sussistenza, allo sviluppo della comunità, o in progetti di apprendimento di tecniche di costruzione e progetti educativi.
Considerando il numero crescente e la sempre maggiore gravità degli esodi in barca, l’UNHCR invita i paesi della regione a collaborare più strettamente per contrastare il contrabbando e il traffico di persone vulnerabili. Per quanto riguarda i necessari sforzi per reprimere questo business illegale, il diritto internazionale prevede un’importante distinzione tra contrabbandieri e trafficanti coinvolti in attività criminali da un lato, e le vittime del traffico e della tratta dall’altro. Le misure di contrasto devono essere accompagnate in primo luogo da sforzi per ridurre la necessità di migranti e rifugiati di rivolgersi a trafficanti, anche affrontando alla radice le cause che inducono le persone a intraprendere questi viaggi pericolosi e fornendo alternative sicure per permettere loro di accedere all’asilo e alla protezione.
Nello stato di Rakhine, in Myanmar – da cui provengono molte delle vittime di traffico – l’Agenzia ha a lungo sostenuto ed è pronta a sostenere ulteriormente gli sforzi concertati per stabilizzare la situazione attraverso la riconciliazione, per agevolare il riconoscimento dei diritti e dell’uguaglianza socio-economica di tutte le persone e per gestire le problematiche legate alla cittadinanza.
Il Rapporto dell’UNHCR è disponibile all’indirizzo http://www.unhcr.org/554c6a746.html (in inglese).
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