Ginevra, 15.03.2016
Dichiarazione dell’Inviata Speciale dell’UNHCR Angelina Jolie Pitt alla conferenza stampa fuori dall’insediamento informale per rifugiati a Fayda, nella Valle della Beqa in Libano, martedì 15 marzo 2016, 11.30 ora locale.
Buongiorno, sono contenta di essere di nuovo in Libano oggi.
Vorrei ringraziare le persone del Libano per il loro aiuto nel salvare le vite di oltre 1 milione di siriani.
Non è facile per un paese accogliere un numero di rifugiati equivalente ad un quarto della sua popolazione.
E per quanto quest’accoglienza sia una responsabilità, spero ci si renda conto anche del messaggio che manda rispetto ai valori e al carattere e allo spirito delle persone libanesi.
State dando un esempio al mondo di generosità, umanità, resilienza e solidarietà.
Da parte dell’UNHCR, e da parte mia, shukran, grazie.
Non bisogna dimenticare che nonostante tutta l’attenzione rivolta in questo momento alla situazione dei rifugiati in Europa, la pressione maggiore è ancora quella sentita in Medio Oriente e Nord Africa, così come è stato per i cinque anni passati.
Ci sono 4.8 milioni di rifugiati siriani in questa regione, e 6.5 milioni di persone sfollate all’interno della Siria.
Oggi è il quinto anniversario del conflitto in Siria, avrei sperato di essere in Siria, a questo punto, ad aiutare l’UNHCR con i programmi di ritorno, guardando le famiglie che ormai conosco tornare a casa.
È tragico e imbarazzante che sembriamo essere, invece, così lontani da quel momento.
Ogni rifugiato siriano con cui ho parlato durante questa missione, senza eccezione, ha espresso il desiderio di tornare a casa una volta che la guerra sarà finita e sarà possibile ritornare in sicurezza – non con rassegnazione, ma con quella luce negli occhi di chi sogna di ricongiungersi con il paese che ama.
Durante questa visita ho visto quanto sia disperata per queste famiglie la difficoltà di sopravvivere in questo momento. Dopo cinque anni di esilio, ogni loro risparmio è esaurito. Molti che avevano iniziato vivendo in appartamenti, ora si ammassano in centri commerciali abbandonati, o insediamenti informali di tende, sprofondando sempre più nei debiti.
Il numero di rifugiati che vivono in Libano sotto la soglia di povertà – non in grado di permettersi il cibo e il riparo di cui hanno bisogno per sopravvivere – è raddoppiato negli ultimi due anni, in un paese dove il 79% di tutti i rifugiati siriani sono donne e bambini.
Dobbiamo capire le realtà fondamentali che stanno causando la crisi globale di rifugiati – che è il prodotto non soltanto della guerra in Siria, ma di decenni di interminabili conflitti e persecuzioni: in Birmania, Mali, Repubblica Centro Africana, Repubblica Democratica del Congo, Nigeria, Somalia, Sud Sudan, Afghanistan, Yemen, Iraq, Siria. E potrei andare avanti così.
Il numero di rifugiati è ora più alto rispetto all’ultima volta che abbiamo avuto una guerra mondiale.
Siamo in un momento di eccezionale difficoltà a livello internazionale, in cui le conseguenze della crisi dei rifugiati sembrano superare la nostra volontà, la nostra capacità e anche il nostro coraggio di affrontarle.
In tempi di guerra convenzionali, le persone che sono costrette a lasciare le loro case vanno in zone più stabili, o nei paesi limitrofi come richiedenti asilo, o sono assistiti in campi per rifugiati fino a che non è sicuro il ritorno a casa. In circostanze eccezionali, alcune persone sono trasferite all’estero per il reinsediamento o l’asilo.
Ma con oltre 60 milioni di persone rifugiate, quante ce ne sono oggi, i governi del mondo – non importa quanto ricchi o disponibili essi siano – non possono assolutamente aspettarsi che sostenere le Nazioni Unite nel prendersi cura di tutte queste persone in modo permanente significhi affrontare il problema.
Non possiamo gestire il mondo attraverso aiuti di emergenza al posto di diplomazia e soluzioni politiche.
Non possiamo parlare come se questo fosse un problema confinato alla situazione di decine di migliaia di rifugiati in Europa.
Non possiamo migliorare questa realtà con risposte parziali, rispondendo ad alcune crisi e non ad altre, aiutando alcuni rifugiati ma non altri – per esempio, escludendo i rifugiati afghani, tra gli altri gruppi – o facendo distinzioni tra i rifguiati in base alla loro religione.
L’unico risultato che avremmo è più caos, più ingisutizia e insicurezza, e infine più conflitto, e più rifugiati.
Dobbiamo concentrarci sulle cause alle radici profonde, e questo richiede una certa dose di coraggio e leadership.
E, a mio parere, leadership in questa situazione significa più che semplicemente proteggere i propri confini o semplicemente mettere a disposizione più aiuti. Significa prendere decisioni che garantiscano che non stiamo andando incontro ad una crisi di rifugiati ancora peggiore in futuro.
Questo è il motivo per cui, per quanto ascoltare le storie individuali dei rifugiati provochi commozione e rabbia, questo non è il momento di dar spazio all’emotività.
Voglio che sia chiaro che capisco che le persone in tanti paesi diversi abbiano timori rispetto alla situazione dei rifugiati.
Sono preoccupati dell’impatto sulle loro comunità, sul loro benessere, e sulla loro sicurezza se accoglieranno rifugiati nei loro paesi.
Non è sbagliato sentirsi scossi di fronte a una crisi così complessa e di questa portata.
Ma non dobbiamo lasciare che le paure ci facciano dimenticare la parte migliore di ciò che siamo.
Non possiamo lasciare che le paure ostacolino l’attuazione di una risposta efficace che è nei nostri interessi a lungo termine.
Il mio appello oggi è che i governi in tutto il mondo dimostrino leadership: per analizzare la situazione e capire esattamente quello che il loro paese può fare, quanti rifugiati possono assistere e come, in quali specifiche comunità e per quale periodo; per spiegare questo ai loro cittadini e rispondere alle loro paure – basandosi non sull’emotività ma su una valutazione oggettiva di cosa può e deve essere fatto per condividere la responsabilità e risolvere questa situazione.
Questo comincia con l’avere un sistema di asilo solido che sia in grado di ascoltare i bisogni delle famiglie disperate, di indentificare le persone più vulnerabili e coloro che hanno un bisogno genuino di protezione. L’UNHCR da decenni supporta i governi nell’attuare queste procedure.
Mi appello a tutti i governi affinchè rispettino la Convenzione ONU per i Rifugiati e le norme del diritto umanitario, perché è necessario e possibile proteggere le persone che fuggono da persecuzioni e morte e proteggere i cittadini nei loro paesi. La questione non può essere ridotta alla scelta tra l’una e l’altra opzione.
Il motivo per cui ci sono normative e accordi internazionali vincolanti è proprio per contrastare la tentazione di deviare da questi nei periodi di pressione. Alla luce della storia recente sappiamo che quando deviamo dalle leggi e dai principi fondamentali, possiamo solamente creare problemi peggiori in futuro.
Ho passato la mattinata con una madre che è rimasta paralizzata dopo essere stata colpita da un cecchino in un’area assediata della Siria. Sta distesa in una stanza, piccola e fredda, dove vive con tutta la sua famiglia, in un insediamento improvvisato qui nella Valle della Beqa.
Non una volta durante la nostra conversazione, ha chiesto qualcosa, ha smesso di sorridere, o ha parlato di qualcosa oltre che del desiderio che i suoi figli abbiano la possibilità di andare a scuola e avere una vita migliore.
Quando ho visto il suo bel sorriso, e il marito devoto e i figli prendersi cura di lei, mi sono sentita in soggezione. Per me sono eroi. E mi chiedo, dove siamo arrivati se sopravvissuti di questo tipo si devono sentire come mendicanti?
Possiamo fare la cosa giusta costruendo un ambiente internazionale più sicuro. Possiamo costruire ordine dal caos.
A mio parere, si tratta di capire le leggi, di scegliere di non essere spaventati, e di mostrare volontà politica.
In nome della popolazione della Siria, e di tutti i rifugiati nel mondo che chiedono disperatamente che la comunità internazionale fornisca soluzioni, spero che lo faremo.
Spero anche che il 15 marzo del prossimo anno potremo finalmente avere una Siria in pace, e che sarà l’inizio di un periodo di ritorni così che questi rifugiati possano realizzare il loro desiderio di tornare a casa.
Grazie mille.
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