Ginevra, 30 marzo 2016
Eccellenze,
Signore e signori,
All’inizio di questo mese, ho incontrato i rifugiati che sono stati reinsediati negli Stati Uniti e in Canada – la maggior parte dei quali provenienti da paesi in conflitto in Africa, Asia, America Centrale e Medio Oriente. Molti sono arrivati diversi anni fa e sono diventati oggi a tutti gli effetti membri delle loro comunità, alle quali contribuiscono attivamente. Ho anche parlato con molti rifugiati siriani arrivati di recente, che hanno condiviso con me le loro speranze e le loro preoccupazioni.
Per molti di loro, imparare una nuova lingua, conoscere i propri vicini, trovare un lavoro, hanno rappresentato dei problemi seri, anche se sono rimasto molto colpito dal sostegno che stanno ricevendo da parte delle comunità che li ospitano. Ho avvertito una certa apprensione, ma anche molta determinazione. Erano certamente felici di essere al sicuro e grati per la possibilità di un futuro migliore, in particolare per i loro figli. Erano stanchi, ma pieni di speranza.
Il reinsediamento in un paese terzo ha tradizionalmente rappresentato una delle soluzioni possibili in favore dei rifugiati, ma si tratta di solito di un’opzione riservata ad un numero relativamente limitato di persone.
La crisi in Siria ne è un esempio. Gli sfollati interni in Siria sono più di sei milioni e quasi cinque milioni sono i rifugiati siriani presenti nella regione. Dopo cinque anni di conflitto, gli ostacoli che queste persone si trovano ad affrontare sono andati aumentando. Il lungo esilio ha avuto un costo. Nel frattempo, la loro presenza ha innegabilmente messo a dura prova le comunità e i paesi ospitanti, in particolare i loro servizi e le loro strutture.
Nei paesi vicini, che ospitano il maggior numero di rifugiati siriani, le condizioni di vita sono diventate sempre più difficili. Un recente studio che abbiamo condotto con la Banca Mondiale ha riscontrato che in Libano e in Giordania il 90 per cento dei rifugiati siriani vive sotto la soglia di povertà nazionale. Almeno il 10 per cento della popolazione di rifugiati è considerata estremamente vulnerabile. Più della metà dei bambini non va a scuola e lavora spesso nel settore informale. Molti giovani ragazze sono costrette a matrimoni precoci dai genitori disperati che non possono più permettersi di mandarle a scuola. L’assistenza ai rifugiati è stata inadeguata, in particolare nei settori cruciali dell’istruzione e delle attività generatrici di reddito. E i rifugiati hanno osservato con crescente pessimismo i progressi lenti e spesso interrotti dei negoziati di pace.
Disperazione e mancanza di speranza hanno quindi spinto un gran numero di siriani ad intraprendere il pericoloso viaggio verso l’Europa, in cerca di sicurezza, dignità e futuro.
Gli impegni assunti in occasione della Conferenza Internazionale dei paesi donatori per la Siria e la Regione circostante che si è tenuta a Londra quasi due mesi fa – come ricordato dal Segretario Generale – rappresentano un importante contributo al miglioramento della vita degli sfollati interni, dei rifugiati e delle comunità ospitanti. Sono stati promessi 12 miliardi di dollari in aiuti umanitari all’interno della Siria e nei paesi limitrofi, volti anche a migliorare le opportunità di istruzione e socio-economiche per i rifugiati e per sostenere chi li ospita.
Sono anche preoccupato per le tempistiche e le modalità di erogazione di quanto promesso a Londra. Più della metà dei fondi promessi non sono è stata ancora allocata. L’erogazione rapida e l’allocazione precoce sono essenziali per permettere alle organizzazioni umanitarie di estendere le operazioni in Siria e nella regione, e per stabilizzare le condizioni della popolazioni sfollata.
E anche se onorare le promesse di Londra è di fondamentale importanza, è necessario fare molto di più.
Ed è per questo che siamo qui oggi. Questo incontro è complementare alla Conferenza di Londra. Ulteriori soluzioni per i rifugiati siriani sono urgentemente necessarie per alleviare la pressione sui paesi ospitanti e fornire un’alternativa alle reti di trafficanti che hanno fatto della disperazione dei rifugiati un business. Siamo qui oggi a fare appello affinché vengano individuati ulteriori canali sicuri per l’ammissione di rifugiati siriani in diversi paesi e comunità, nei prossimi tre anni.
Eccellenze,
Signore e Signori,
Durante le discussioni sul recente accordo tra l’Unione Europea e la Turchia, ho spesso pensato alle conversazioni avute a gennaio con un gruppo di donne siriane rifugiate che vivono a Istanbul con i loro bambini piccoli. Una di loro, madre di cinque bambini, mi ha detto che aveva sperato di trovare una via sicura per ricongiungersi con suo marito in Europa, ma che i programmi ufficiali di ricongiungimento e di reinsediamento richiedevano talmente tanto tempo e talmente tanti requisiti, che alla fine si era disperata. Non vedeva un futuro per i suoi bambini, con suo marito all’estero. E così, si vedeva costretta a rischiare la sua vita e quella dei suoi figli su un’imbarcazione.
Lo scorso anno, l’Unione europea ha preso decisioni importanti nel tentativo di gestire i flussi di rifugiati e migranti in un modo che fosse ordinato e in accordo a principi condivisi. Ma alcuni Stati membri dell’Unione europea non hanno dimostrato la solidarietà necessaria per la condivisione di questa responsabilità, e l’equa distribuzione di rifugiati e richiedenti asilo. Il movimento è stato lasciato senza controlli e abbiamo assistito a flussi significativi di persone che si riversavano solo verso pochi paesi: Austria, Germania e Svezia.
Con l’opinione pubblica sempre più preoccupata, e in alcuni casi manipolata con destrezza da politici irresponsabili, il centro dell’attenzione si è spostato: dall’accogliere i rifugiati, a innalzare restrizioni e chiudere confini, con il risultato che circa 50.000 rifugiati e migranti sono ora bloccati in Grecia e versano in condizioni deplorevoli.
Abbiamo dichiarato in modo esplicito il nostro punto di vista rispetto al recente accordo e, come abbiamo ripetuto più volte, abbiamo sottolineato che qualsiasi accordo deve includere per tutte le persone misure di protezione, come definite dal diritto internazionale e comunitario.
Tuttavia, non possiamo rispondere alla crisi dei rifugiati chiudendo le porte e costruendo recinzioni. La dimensione di questa crisi ci mostra inequivocabilmente che non è una questione che può essere gestita come al solito, lasciando che la pressione maggiore sia sulle spalle dei paesi più vicini al conflitto.
Cosa possiamo fare per aiutare le donne siriane rifugiate che ho incontrato in Turchia, un paese che sta già ospitando quasi tre milioni di rifugiati? Donne che sono così disperate da mettere in pericolo la vita dei propri figli?
La nostra proposta oggi è che offrire canali alternativi per l’ammissione dei rifugiati siriani deve diventare parte della soluzione, così come investire nell’aiuto dei paesi della regione. Questi canali possono avere varie forme: non solo reinsediamento, ma anche meccanismi più flessibili per il ricongiungimento familiare, che includano anche membri della famiglia allargata, programmi di lavoro, visti per studenti e borse di studio, oltre a visti per motivi di salute.
Il reinsediamento ha bisogno di un numero di posti di gran lunga superiore a quello finora reso disponibile. Lo scorso anno, solo il 12% dei rifugiati che avevano biosgno di reinsediamento, che sono solitamente i più vulnerabili, sono stati reinsediati. Ma visti umanitari e per studenti, permessi di lavoro e rincongiungimento familiare rappresenterebbero vie sicure di ammissione anche per molti altri rifugiati, inclusi coloro che sono più a rischio di cadere nelle mani dei trafficanti e coloro che hanno capacità e talenti che saranno un giorno necessari per ricostruire la Siria.
Ci sono due questioni, però, che devono essere molto chiare. Primo, l’apertura di canali legali e sicuri per l’ammissione non può mai sostituire le responsabilità fondamentali degli Stati, previste dal diritto internazionale nei confronti delle persone che richiedono asilo direttamente sul loro territorio. Questi canali sono misure aggiuntive che sono necessarie come parte di una risposta globale. Secondo, mentre la conferenza di oggi si concentra sulla situazione dei rifugiati siriani, è chiaro che gli impegni per offrire vie sicure di ammissione per i rifugiati siriani, non devono essere alle spese delle altre popolazioni rifugiate.
L’UNHCR è pronto a supportare gli Stati in modo concreto ed operativo nella gestione di numeri crescenti di rifugiati presenti nella regione da inserire nei programmi di reinsediamento e in altre vie di ammissione, in modo efficiente e veloce. Questo è praticabile se le risorse necessarie sono rese disponbili.
Quando il Canada ha annunciato che avrebbe accolto 25.000 rifugiati provenienti dalla regione, l’UNHCR ha lavorato a stretto contatto con le autorità canadesi per sviluppare specifiche modalità che consentissero di accelerare questo processo. In meno di quattro mesi, più di 26.000 rifugiati siriani sono stati individuati, selezionati e preparati per cominciare una nuova vita in Canada: un lasso di tempo estremamente breve, se si considera che con i normali programmi di reinsediamento la procedura può richiedere mesi, se non anni. Quindi, sì, programmi come questo possono essere implementati in modo veloce, sicuro e rigoroso, quando ci sono volontà politica e risorse per farlo.
E mentre il dibattito qui oggi si focalizza su come affrontare la difficile situazione dei siriani che fuggono dalla guerra e della violenza nel loro paese, non dobbiamo – come ci ha ricordato il Segretario Generale questa mattina – dimenticare le discussioni più importanti cominciate un paio di settimane fa in questo stesso luogo. Le parti del conflitto siriano, con la mediazione della Nazioni Unite e il supporto della comunità internazionale, hanno avviato un nuovo e, speriamo decisivo, tentativo di portare la pace in Siria.
Dobbiamo incoraggiare questo processo, ma nel frattempo dobbiamo agire. Non possiamo lasciare i paesi limtrofi a sostenere il peso maggiore di questa crisi di rifugiati. Il mondo deve mostrare solidarietà e condividere questa responsabilità. Il nostro obbiettivo è quello di trovare canali di ammissione per almeno il 10% della popolazione siriana rifugiata, ovvero 480.000 persone, nei prossimi tre anni. Può sembrare un numero alto, ma non lo è se confrontato al numero di rifugiati che i paesi limitrofi stanno ospitando. Se l’Europa accogliesse la stessa percentuale di rifugiati che accoglie il Libano in confronto alla sua popolazione, dovrebbe ospitare 100milioni di rifugiati! Siamo già sulla buona strada per raggiungere il nostro obbiettivo, se consideriamo i circa 179.000 posti promessi finora. La conferenza di oggi è un’altra importante pietra miliare per assicurare che manterremo questo slancio nei prossimi mesi e anni.
Eccellenze,
Signore e signori,
Permettetemi di concludere citando il principio fondamentale della solidarietà globale e della condivisione della responsabilità, così come è stato formulato nel preambolo della Convenzione sullo Statuto dei Rifugiati del 1951, il quale riconosce che: “dalla concessione del diritto d’asilo possano risultare oneri eccezionalmente gravi per determinati paesi e che una soluzione soddisfacente dei problemi di cui l’Organizzazione delle Nazioni Unite ha riconosciuto l’importanza e il carattere internazionali non può essere conseguita senza solidarietà internazionale”.
La conferenza di oggi ci offre l’opportunità di individuare misure nuove e innovative per aiutare i rifugiati, affinché possano veder riconosciute la protezione e la dignità di cui hanno bisogno, e di riaffermare che i rifugiati sono una responsabilità condivisa. È un’opportunità di rafforzare partnerships già esistenti, di stringerne di nuove, e di procedere avanti con uno spirito solidale e un nuovo scopo.
Grazie.
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