La politica australiana di esaminare le domande di asilo dall’estero in Papua Nuova Guinea e Nauru, prassi che nega ai rifugiati che arrivano via mare senza un visto valido l’accesso all’asilo in Australia, sta causando da troppo tempo una sofferenza protratta ed evitabile.
Quattro anni dopo l’inizio di questa politica, più di duemila persone sono ancora trattenute in circostanze inaccettabili. Le famiglie sono state separate e molti hanno subito danni fisici e psicologici.
Alla luce di questa terribile situazione umanitaria, lo scorso novembre l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) ha eccezionalmente accettato di contribuire con il trasferimento negli Stati Uniti di alcuni rifugiati in seguito ad un accordo bilaterale tra l’Australia e gli Stati Uniti. L’Agenzia ha accettato di farlo sulla base del chiaro accordo che i rifugiati vulnerabili con stretti legami familiari in Australia sarebbero stati infine autorizzati a stabilirsi nel Paese.
L’Australia ha recentemente informato l’UNHCR del suo rifiuto di accettare persino questi rifugiati e che essi, allo stesso modo degli altri presenti a Nauru e Papua Nuova Guinea, sono stati informati che la loro unica opzione è di rimanere dove si trovano o di essere trasferiti in Cambogia o negli Stati Uniti.
Ciò significa, ad esempio, che alcuni individui con gravi condizioni sanitarie o che hanno subito esperienze traumatiche, compresa la violenza sessuale, non possono ricevere il sostegno dei loro familiari stretti residenti in Australia.
Per evitare di prolungare le loro traversie, l’UNHCR non ha altra scelta che approvare il trasferimento di tutti i rifugiati presenti in Papua Nuova Guinea e a Nauru negli Stati Uniti, anche di coloro che hanno membri della famiglia in Australia.
Non c’è dubbio che queste persone vulnerabili, già soggette a quattro anni di condizioni proibitive, dovrebbero essere riunite con le loro famiglie in Australia. Questa è l’unica cosa umana e ragionevole da fare.
La decisione del governo australiano di negare questa possibilità è contraria ai principi fondamentali dell’unità familiare e della protezione dei rifugiati, oltre che di civiltà e buon senso.
L’UNHCR sostiene pienamente la necessità di salvare vite in mare e di fornire alternative ai viaggi pericolosi e allo sfruttamento da parte dei trafficanti. Ma la pratica di esame offshore ha avuto un impatto estremamente dannoso. C’è una contraddizione fondamentale nel salvare le persone in mare, solo per maltrattarle e trascurarle a terra.
L’Australia ha una solida tradizione umanitaria, manifestata nel suo sostegno all’aiuto all’estero e nel suo programma di reinsediamento a lungo termine dei rifugiati. Chiedo all’Australia di porre immediatamente fine alla pratica pericolosa di esternalizzare l’esame delle domande, di offrire soluzioni alle sue vittime, verso le quali mantiene piena responsabilità e di lavorare con noi nell’individuazione di alternative future per salvare le vite in mare e proteggere le persone in difficoltà.
In un momento in cui le migrazioni forzate a livello globale hanno raggiunto livelli record, è fondamentale che tutti gli Stati offrano protezione a chi sopravvive a guerre e persecuzioni e non esternalizzino le proprie responsabilità verso altri Stati. I rifugiati, esseri umani come noi, se lo meritano.
Informazioni di contesto
L’Australia ha trasferito forzatamente circa 2.500 rifugiati e richiedenti asilo in strutture esterne in Papua Nuova Guinea e Nauru per l’esame delle domande di asilo in seguito all’introduzione nel 2013 della nuova politica in materia di asilo. Di questi, circa 1.100 sono ancora a Nauru e 900 in Papua Nuova Guinea.
In seguito all’accordo bilaterale tra Australia e Stati Uniti relativo alla ricollocazione, l’UNHCR ha trasferito negli Stati Uniti più di 1.100 rifugiati nel corso degli ultimi otto mesi. Altre 500 persone stanno ancora aspettando l’esito dell’esame di determinazione dello status di rifugiato condotta dalle autorità in Papua Nuova Guinea e Nauru, nel contesto dell’accordo australiano.
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