Il 3 luglio scorso, oltre 50 rifugiati e migranti hanno perso la vita in seguito all’attacco aereo contro il Centro di detenzione di Tajoura, a est di Tripoli, in Libia. Questa settimana le nostre organizzazioni hanno rivolto un appello all’Unione Europea e all’Unione Africana affinché una tale tragedia non si ripeta. La comunità internazionale dovrebbe considerare la protezione dei diritti umani di migranti e rifugiati come un elemento essenziale del proprio impegno in Libia.
In via prioritaria, le nostre organizzazioni chiedono che i 5.600 rifugiati e migranti attualmente detenuti nei diversi centri della Libia siano rilasciati in modo coordinato e che ne sia garantita la protezione, oppure che siano evacuati verso altri Paesi dai quali sarà necessario reinsediarli con procedura accelerata. A tale proposito, è necessario che i Paesi acconsentano a un numero maggiore di evacuazioni e mettano a disposizione posti per il reinsediamento. Inoltre, ai migranti che desiderano fare ritorno nei propri Paesi di origine dovrebbero essere garantite le condizioni per poter continuare a farlo. Risorse supplementari sono parimenti necessarie.
La detenzione di quanti sono fatti sbarcare in Libia dopo essere stati soccorsi in mare deve terminare. Esistono alternative pratiche: dovrebbe essere consentito loro di vivere nelle comunità locali o in centri di accoglienza aperti e si dovrebbero stabilire le relative modalità di registrazione. È possibile istituire centri sicuri e semiaperti simili a quello di raccolta e partenza dell’UNHCR.
Alla data di mercoledi 10 luglio il centro di detenzione di Tajoura è chiuso e circa 400 persone sopravvissute agli attacchi sono state trasferite al Centro di Raccolta e Partenza. Quest’ultimo è ora seriamente sovraffollato e si lavora senza sosta per assicurare l’evacuazione delle persone, soprattutto le più vulnerabili. Tuttavia, molti altri rifugiati e migranti permangono in stato di detenzione altrove in Libia, in luoghi in cui le sofferenze e il rischio di violazioni dei diritti umani continuano. È essenziale adottare un processo di rilascio sicuro e coordinato per tutti i detenuti, e comunicare le informazioni necessarie sull’assistenza disponibile.
È necessario garantire maggiore assistenza per i circa i 50.000 rifugiati e richiedenti asilo registrati e per i circa 800.000 migranti che vivono attualmente in altre aree della Libia, affinché le loro condizioni di vita migliorino, i diritti umani siano protetti, e un numero minore di persone cada nelle reti del traffico e della tratta di esseri umani.
È necessario compiere ogni sforzo per impedire che le persone soccorse nel Mediterraneo siano fatte sbarcare in Libia, Paese che non può essere considerato porto sicuro. In passato, le imbarcazioni degli Stati europei che conducevano operazioni di ricerca e soccorso hanno salvato migliaia di vite, grazie anche alla possibilità di effettuare sbarchi in porti sicuri. Esse dovrebbero poter riprendere a svolgere questo compito vitale e si dovrebbe istituire con urgenza un meccanismo di sbarco temporaneo che consenta una condivisione di responsabilità a livello europeo. Le navi delle ONG hanno svolto un ruolo analogamente fondamentale nel Mediterraneo e non devono essere penalizzate per il soccorso di vite in mare. Alle imbarcazioni commerciali non deve essere chiesto di ricondurre in Libia i passeggeri soccorsi.
Qualunque forma di assistenza e responsabilità dovrebbero essere delegate agli organismi libici competenti solo a patto che nessuno possa essere detenuto arbitrariamente dopo essere stato soccorso e che le garanzie inerenti agli standard sui diritti umani siano rispettate. Senza tali garanzie, si dovrebbe interrompere qualunque forma di sostegno.
Non è ammissibile che accada un’altra tragedia come quella di Tajoura. La protezione di vite umane deve rappresentare la priorità assoluta.
Per maggiori informazioni:
UNHCR
OIM
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