M le Président de la République,
M le Président du Conseil des ministres,
Permettemi di esprimermi in inglese.
Il disastro in Libano ha molteplici conseguenze umanitarie. Le persone costrette alla fuga, come abbiamo sentito, sono una delle conseguenze più catastrofiche. Alcune zone del Paese sono state spopolate. Un quinto della popolazione è ora sfollato. E 430.000 persone hanno attraversato il confine verso la Siria – 30% libanesi, 70% siriani: persone che sono fuggite da una guerra e ora stanno fuggendo da un’altra. Ho visto io stesso qualche giorno fa famiglie al confine che trasportavano quello che potevano sulle loro spalle lungo una strada distrutta dagli attacchi aerei israeliani.
Ovviamente la soluzione è un cessate il fuoco, seguito da un accordo politico e militare che lo renda sostenibile. Non c’è alternativa. Ma nel frattempo aiutare i civili in Libano – tutti, compresi i rifugiati siriani e palestinesi – è una priorità e ringrazio il governo francese per averci convocato qui per discutere e, auspicabilmente, agire. L’UNHCR è pienamente impegnato in questo sforzo, a fianco delle autorità libanesi.
Ma non dobbiamo dimenticare la dimensione siriana di questa crisi. Permettetemi di concentrarmi su questo aspetto.
Non dobbiamo dimenticare che la maggior parte dei siriani – dopo anni di guerra, divisioni e sanzioni – erano già in grande difficoltà prima di questa crisi. I nuovi arrivati – libanesi e siriani – sono per lo più ospitati da famiglie povere e vulnerabili. In Siria l’emergenza è sia al confine che nelle case delle persone. È urgente aumentare l’assistenza umanitaria, ma l’appello inter-agenzie che ho contribuito a lanciare a Damasco il 7 ottobre è finanziato solo al 12%.
Entrambi gli appelli – per il Libano e per la Siria – hanno quindi bisogno di sostegno. Non sorprendiamoci se, non riuscendo a stabilizzare le persone in entrambi i Paesi, queste decidano di cercare sicurezza altrove.
Noi dell’UNHCR ci occupiamo di rifugiati siriani da 13 anni. Per garantire che il loro ritorno, ora e in futuro, sia sicuro, dignitoso e sostenibile – come ho detto più volte – dobbiamo muoverci su due binari.
In primo luogo, continuiamo a lavorare con il governo siriano – che ha mantenuto le frontiere aperte a tutti – per garantire anche la sicurezza di tutti coloro che arrivano. L’UNHCR è ora autorizzato a monitorare i rimpatriati ai valichi di frontiera e ovunque decidano di essere ospitati. Ma la nostra capacità è ancora limitata, soprattutto nei luoghi di destinazione. Abbiamo accesso a 114 centri comunitari in tutto il Paese. Dobbiamo potenziare questa capacità e quella dei nostri partner, indispensabile per sostenere, consigliare e aiutare a garantire che i rimpatriati siriani che possono beneficiare delle amnistie esistenti possano farlo senza ostacoli, in modo trasparente ed equo, evitando ritorsioni, come ho discusso di recente con le autorità siriane.
In secondo luogo, vi prego di utilizzare il cosiddetto “early recovery space” reso disponibile da varie risoluzioni del Consiglio di Sicurezza. Sostenete le persone che hanno deciso di tornare e che potrebbero voler rimanere, e sostenete le attività che le Nazioni Unite e altre organizzazioni svolgono nelle aree dove le persone stanno facendo ritorno. Non c’è dignità nel ritorno in luoghi privi di acqua, elettricità, servizi e alloggi. E se questi ritorni non saranno sostenibili, le persone si sposteranno di nuovo.
Siamo a un bivio. Un’ulteriore espansione del conflitto comporta pericoli inimmaginabili. Inoltre, amplierà l’impatto umanitario, ben oltre la capacità di risposta delle agenzie umanitarie. E aprirà la porta a movimenti di popolazione difficili da gestire.
Tuttavia, abbiamo ancora alcune opportunità per affrontare queste sfide prima che sia troppo tardi – e anche per risolvere alcuni dei problemi di lunga data che affliggono la regione, tra cui lo sfollamento forzato.
Ma dobbiamo agire, e agire ora.
Grazie.
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