Domani 9 giugno, segna l’anniversario dell’indipendenza del Sud Sudan. L’UNHCR è seriamente preoccupato per la continua violenza in molte zone del paese e i conseguenti spostamenti forzati delle persone sudsudanesi, all’interno del paese e nella regione.
La nazione più giovane del mondo, al momento è uno dei paesi con i livelli più alti di spostamenti forzati a causa dei conflitti al mondo. Circa uno ogni 4 cittadini sudsudanesi è uno sfollato interno o un rifugiato nei paesi confinanti, il che significa che circa 2.6 milioni di persone, in un paese la cui popolazione nel 2013 era di 11.3 milioni di abitanti. In grande maggioranza si tratta di bambini.
I civili in Sud Sudan continuano a subire le conseguenze del conflitto armato. Gli scontri sono frequenti, l’insicurezza alimentare cresce e le condizioni economiche si deteriorano. Le Agenzie segnalano che si prevede un incremento del numero di persone vittime di insicurezza alimentare, da 4.3 milioni a 4.8 milioni, in linea con vulnerabilità stagionali e crisi economica.
Nonostante gli accordi di pace abbiano posto formalmente fine alla guerra civile nell’agosto del 2015, il conflitto e l’instabilità si sono dffuse in aree non colpite precedentemente, come le regioni dell’Equatoria e di Bahr al-Ghazal. Il mese scorso, scontri a Wau hanno provocato la morte di oltre 40 persone, mentre 35.000 sono state costrette a fuggire dalla propria casa. Conflitti come questo sono caratteristici di una tendenza che ha prodotto quest’anno nuovi flussi di rifugiati.
Nei nove mesi in cui è stato osservato il cessate il fuoco, non si è verificato nessun ritorno volontario massiccio di rifugiati dai paesi di asilo. In quel periodo, il numero di sfollati interni è stato di oltre 100.000, mentre l’UNHCR ha registrato circa 140.000 nuovi rifugiati. Ci sono al momento oltre 860.000 rifugiati sudsudanesi nei paesi circostanti, dato che rende il Sud Sudan il quarto maggiore paese per numero di rifugiati che da qui provengono, e il secondo nell’ Africa sub-sahariana, dopo la Somalia.
Nonostante queste sfide, il Sud Sudan ospita oltre 272.000 rifugiati, soprattutto dal Sudan (251.000), e un numero minore di rifugiati provenienti da Repubblica Democratica del Congo (14.799), Etiopia (4.400) e Repubblica Centrafricana (1.878). Quest’anno il paese ha visto l’arrivo di circa 9.000 nuovi rifugiati come risultato del conflitto negli stati del Kordofan meridionale e del Blu Nilo.
I paesi circostanti continuano a tenere le frontiere aperte per i rifugiati sudsudanesi, e al momento assistiamo ad un grande impegno da parte delle comunità ospitanti. Dal 2015, 22.000 individui sono fuggiti dagli scontri nell’Equatoria occidentale nelle parti più remote della Repubblica Centrafricana e nella Repubblica Democratica del Congo. In entrambi i paesi, l’insicurezza e le difficoltà logistiche stanno minando l’accesso all’assistenza umanitaria. Nel frattempo, il Sudan ha ricevuto il più alto numero di rifugiati sudsudanesi quest’anno. Con 231.581 rifugiati, è ora il secondo paese con più domande di asilo dopo l’Etiopia (285.356). Seguono l’Uganda (229.006) e il Kenya (103.173).
Nel complesso, la risposta umanitaria è gravemente carente a causa di un severo sotto finanziamento. L’UNHCR insieme a 42 partner non-governativi ha bisogno di USD 573 milioni di dollari per i programmi di protezione e assistenza di rifugiati. L’appello di varie agenzie è stato finanziato solo per il 17% (USD 85.4 milioni) e pertanto le risposte di emergenza e le attività di assistenza salva-vita sono state privilegiate. Di conseguenza, l’acqua, i servizi igienico-sanitari e di salute e l’accesso al riparo nella maggior parte dei paesi di asilo sono sotto gli standard internazionali, il che aumenta il rischio di sviluppo di malattie. L’accesso a fonti di energia alternative e sostenibili per le comunità è una sfida e una delle principali cause di conflitto nelle comunità di accoglienza, perché i rifugiati sono costretti a tagliare legna per uso domestico, una risorsa estremamente scarsa in alcune località.
I bambini costituiscono il 70% della popolazione rifugiata, e sono quelli che subiscono maggiormente per la scarsità e l’inadeguatezza delle risorse. Oltre il 16% ha bisogno di un’assistenza specifica perché sono minori non accompagnati o sono stati separati dalle proprie famiglie. I bambini sono i più gravemente colpiti dai movimenti forzati delle popolazioni. Per esempio a Kakuma, in Kenya, negli ultimi mesi, l’UNHCR ha notato un aumento significativo nella prevalenza di malnutrizione acuta cronica tra i nuovi arrivati. La mancanza di fondi ostacola gli sforzi nella gestione dei casi, fra cui il ricongiungimento famigliare dei minori non accompagnati o separati. La media regionale degli assistenti sociali è di 1 ogni 90 bambini (lo standard globale è di 1:25). L’Etiopia ha soltanto il 20% dello staff del quale ha bisogno per la protezione dei minori.
Rimangono molte lacune per raggiungere gli standard minimi di educazione a causa della mancanza di professori qualificati, di aule o di materiali scolastici. L’educazione secondaria/terziaria, la formazione professionale e i programmi di empowerment per adolescenti e giovani devono essere rafforzati per ridurre il rischio di arruolamento di minori. Infine, la maggior parte dei paesi ospitanti sono colpiti dai tagli delle razioni alimentari del WFP, a cui si aggiunge la sospensione dei voucher per il cibo ed il problema dei cesti alimentari incompleti. Le attività per il sostentamento hanno una portata limitata, e non rispondono ai bisogni significativi necessari per migliorare l’autosufficienza dei rifugiati.
Condividi su Facebook Condividi su Twitter