Mentre il governo nigeriano continua a liberare porzioni di territorio precedentemente sotto il controllo di Boko Haram e a facilitare il ritorno volontario di migliaia di persone nelle loro aree di origine nel nord-est del paese, l’entità dei danni diventa sempre più visibile ed emergono nuove sfide umanitarie.
A partire dalla fine di agosto, il governo ha agevolato il ritorno volontario di migliaia di persone da Maiduguri, capitale dello Stato di Borno, alle città di Dikwa, Konduga e Mafa. Le autorità locali affermano di aver trasferito 1.120 persone a Dikwa lo scorso martedì e ulteriori trasferimenti dovrebbero avvenire nei giorni e settimane a seguire.
Alcuni sfollati interni a Maiduguri hanno svolto delle brevi visite di sopralluogo nelle aree di origine con l’assistenza del governo per valutare la situazione. Alcuni di loro, originari di Mafa, hanno riferito all’UNHCR di essere pronti a ritornare definitivamente nelle loro case non appena il governo organizzerà un nuovo convoglio protetto da scorta armata.
Alcuni di loro hanno già deciso di rimanere a Mafa, senza far ritorno a Maiduguri. I ritorni volontari agevolati interessano soprattutto le città, dato che le condizioni di sicurezza nei villaggi sono ancora molto instabili. Gli sfollati che ritornano volontariamente nei villaggi vengono incoraggiati a rimanere entro i 15 chilometri dalle città.
Le difficoltà che fronteggiano gli sfollati di ritorno nelle proprie aree di origine sono grandissime, secondo quanto constatato dall’UNHCR in occasione di una recente visita alla città di Gwoza, da poco tornata accessibile, situata 150 chilometri a sud-est di Maiduguri. La maggioranza della popolazione della città, che ammontava ad almeno 300.000 persone, è fuggita a Maiduguri nel 2015 e nel 2016 per fuggire al regime di Boko Haram, durato otto mesi, e agli scontri che sono succeduti. Stando a quanto dicono le autorità locali, dallo scorso maggio, quando la città è stata liberata, ad oggi 70.000 persone (sfollati interni originari di Gwoza e dei villaggi circostanti) sono ritornate volontariamente nella città.
La città nella quale hanno fatto ritorno, tuttavia, è fortemente danneggiata (circa il 70% di Gwoza è stata rasa al suolo) e, mentre il governo ha cominciato a ricostruire alcuni edifici, tra cui l’ospedale locale, e organizzazioni come UNICEF e Medici Senza Frontiere offrono assistenza sanitaria, alcuni sfollati originari della città e di altre aree cercando soluzioni abitative dove possono. Questa situazione potrebbe causare problemi in futuro, quando un maggior numero di persone originarie di Gwoza faranno ritorno e troveranno le loro case occupate da sconosciuti.
L’UNHCR, l’OIM e altri partner collaborano con le autorità per fornire alloggi. L’Agenzia sta costruendo un nuovo sito per fornire riparo agli sfollati interni che stanno ritornando volontariamente a Gwoza. Nella città sono già presenti tre campi per sfollati interni gestiti dall’esercito.
La salute dei bambini rappresenta un’ulteriore fonte di preoccupazione. Molti di loro soffrono di disidratazione e malaria, nonostante l’UNICEF, Medici Senza Frontiere e l’esercito stiano offrendo assistenza sanitaria. L’UNICEF ha costruito due grandi tende adibite a classi, entrambe sovraffollate con oltre 130 studenti ciascuna. Solo pochi insegnanti sono tornati e sono i soldati a insegnare l’inglese ai bambini di Gwoza e di altre parti della regione.
In generale, le persone hanno riferito all’UNHCR di sentirsi al sicuro a Gwoza con la presenza dell’esercito. Tuttavia molti di loro non si sentono pronti a ritornare nelle proprie case e l’UNHCR reitera l’importanza che il ritorno avvenga in maniera volontaria e che le persone vengano sufficientemente informate sulla situazione nella loro area di origine in modo da poter decidere in modo consapevole se farvi ritorno o meno. L’UNHCR ha sviluppato un quadro sulle politiche di ritorno volontario che mette in luce proprio questo aspetto e ne sta discutendo insieme al governo e ad altri partner, al fine di ottenere supporto per questa iniziativa e i suoi scopi.
Molte persone tornate a Maiduguri e in altre aree nello Stato di Borno che sono da poco nuovamente accessibili hanno riferito all’UNHCR di essere preoccupate per le condizioni di sicurezza, la carenza di generi alimentari, l’instabilità economica e l’accesso limitato a cibo, acqua, alloggi e strutture sanitarie. La stagione della semina è ormai terminata e il timore delle famiglie è che non avranno abbastanza da mangiare, anche se il governo fornisce alle persone che scelgono il ritorno volontario 25 chilogrammi di riso e altri generi di prima necessità. Anche il PAM fornisce beni alimentari.
Altri sfollati interni sono dissuasi dal fare ritorno a causa della presenza di campi minati e ordigni esplosivi improvvisati, che insieme alle precarie condizioni di sicurezza lungo le strade principali hanno danneggiato fortemente il commercio e l’economia della regione. Alcune donne sfollate a Maiduguri hanno riferito all’UNHCR di aver paura di ritornare nei loro quartieri a causa della presenza di Boko Haram. Alcune di loro erano state rapite dagli uomini di Boko Haram nel 2014 e nel 2015, costrette a sposarsi e tenute prigioniere per mesi prima di riuscire a fuggire o essere librate dall’esercito. A Maiduguri le autorità continuano a trasferire gli sfollati interni dagli edifici scolastici ai campi di accoglienza: la scorsa settimana oltre 4.000 persone sono state trasferite dall’Arabic Teaching College al campo di Bakassi, che ospitava già 17.000 persone.
L’UNHCR continua ad aumentare la sua presenza nel nord-est del paese con l’invio di nuovi operatori (9 nuovi operatori si sono aggiunti, secondo i dati del 20 settembre). Il progetto dell’Agenzia è di costruire altri 1.400 alloggi di emergenza e distribuire nelle prossime settimane 2.500 kit di materiale da costruzione nelle aree dello Stato di Borno controllate dal governo locale.
Dal 2014 oltre 2.2 milioni di persone sono state costrette a fuggire dal nord-est della Nigeria a causa della violenza di Boko Haram, tra cui 2 milioni di sfollati interni e circa 190.000 rifugiati che sono stati accolti negli stati confinanti di Camerun, Ciad e Niger.
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