Presidente,
Illustri Delegati,
Viviamo in un momento di rapidi cambiamenti. Un tempo di promesse – solo poche settimane fa, il “Pact for the Future” è stato adottato qui a New York – ma anche un momento pericoloso. Di grande incertezza.
L’incertezza non riguarda la natura o la portata delle sfide che abbiamo di fronte. Queste sono chiare – guerre, povertà, epidemie, la minaccia di tecnologia non regolamentate, il cambiamento climatico e altro ancora – insieme a un numero di persone in fuga senza precedenti.
L’incertezza non riguarda nemmeno le soluzioni a queste sfide, molte delle quali sono alla nostra portata. No, ciò che è in gioco è la nostra capacità collettiva di agire insieme. L’idea stessa di multilateralismo è sotto attacco. Possiamo, come Nazioni Unite, essere ancora abbastanza d’accordo per fare progressi e iniziare ad affrontare le molte sfide del nostro tempo? Mentre siamo ancora in tempo. La risposta a questa domanda definirà gli anni a venire.
Oggi ci sono 123 milioni di sfollati nel mondo. Persone che hanno dovuto fuggire da violenze, persecuzioni e conflitti.
Conflitti come quello in Libano, dove la devastazione è catastrofica, e dove – come a Gaza – un cessate il fuoco disperatamente necessario, non si materializza, e gli attacchi aerei israeliani continuano. Con una conseguente perdita enorme in termini di vite umane. Infrastrutture civili – scuole, ospedali, strade – distrutte. Le conseguenze umanitarie sono terribili e richiedono un urgente sostegno internazionale. Eppure gli appelli per il Libano e la Siria sono ancora terribilmente sottofinanziati. Centinaia di migliaia di persone sono state sfollate. La stragrande maggioranza di loro libanesi, ma anche molti siriani – come sapete il Libano ha ospitato rifugiati siriani per più di un decennio. Persone che sono fuggite da una guerra e ora si trovano a dover fuggire da un’altra. Nelle settimane successive all’inizio del conflitto in Libano, 470.000 persone – il 30% delle quali libanesi e il 70% siriane – hanno attraversato il confine con la Siria. Se riescono poi a passare, considerando che anche le strade che portano ai confini sono state bombardate.
La Siria è un Paese che non si è ancora ripreso da anni di guerra, di divisioni, di sanzioni. Un Paese in cui, infatti, continueremo a lavorare con il governo siriano per garantire la sicurezza e l’incolumità di tutti coloro che arrivano, non solo ai valichi di frontiera, ma anche nelle comunità dove le persone alla fine tornano. L’UNHCR continuerà a svolgere il suo ruolo di monitoraggio in questo senso, come discusso con il governo durante la mia recente visita.
Ma ricordiamoci che la maggior parte dei siriani ha già affrontato difficoltà straordinarie prima di questa crisi, lottando per la dignità nelle loro case e comunità. Eppure hanno aperto le loro case per accogliere i nuovi arrivati, siriani di ritorno e rifugiati libanesi. Non possono sopportare questo fardello da soli. Hanno bisogno del nostro sostegno, non solo di aiuti umanitari, ma anche di aiuto per una rapida ripresa, come stabilito in varie risoluzioni del Consiglio di Sicurezza.
E lo stesso vale per il popolo sudanese, fino a che anche lì i negoziati di pace non vengano presi sul serio. Le condizioni in Sudan sfidano ogni possibile racconto: violenza sfrenata, atrocità a sfondo sessuale, fame, inondazioni, malattie. Stiamo assistendo in tempo reale al collasso dell’infrastruttura sociale di una nazione; Sistemi sanitari decimati, nessuna istruzione e un’amministrazione civile paralizzata. Più di 11 milioni di sudanesi sono stati costretti alla fuga dall’inizio della guerra, 18 mesi fa. Tre milioni di persone hanno lasciato il Paese. Solo nell’ultimo mese, 60.000 nuovi rifugiati sono arrivati in Ciad, che si aggiungono a quelli già ospitati in Egitto, Repubblica Centrafricana, Etiopia, Sud Sudan, Uganda e Libia. L’elenco dei Paesi che ospitano i rifugiati sudanesi continua a crescere, e continuerà a crescere, a meno che non saremo in grado di portare – con urgenza – un po’ di sollievo a coloro che sono stati costretti a fuggire, e a coloro che li accolgono. Perché tutti sono colpiti dalle stesse fragilità. Le stesse incertezze.
Presidente,
Di una cosa possiamo essere certi: se lasciati irrisolti, come stiamo vedendo in Medio Oriente, questi conflitti continueranno a diffondersi in modo incontrollato, con conseguenze impreviste per tutti. Lasciati a se stessi, i rifugiati e tutti le altre persone andranno avanti in cerca di sicurezza.
Negli ultimi anni, mentre il cambiamento climatico e le difficoltà economiche si combinano a conflitti e persecuzioni che spingono le persone a fuggire, abbiamo visto rifugiati e migranti muoversi insieme, lungo le stesse rotte, in quelli che chiamiamo “flussi misti”. Affrontare questi movimenti è diventato un problema particolarmente complesso per gli Stati interessati dalle rotte percorse dalle persone in fuga, portando molti governi a cercare di fermare questo flusso di persone imponendo misure sempre più restrittive che si concentrano sui controlli. E a volte misure per esternalizzare o sospendere l’asilo, che non solo sono inefficaci, ma che violano anche i loro obblighi legali internazionali.
Un approccio più efficace consiste nel guardare oltre i propri confini, che troppo spesso sono l’unico focus. Guardate invece interi percorsi degli spostamenti. Cercare opportunità nei Paesi d’origine, ad esempio rafforzando la resilienza delle comunità a rischio di sfollamento a causa del cambiamento climatico. Cercare opportunità per ampliare i programmi di soggiorno regolare nei Paesi di asilo o di transito, creando accesso ai servizi e all’occupazione, come abbiamo fatto in Messico, per esempio. Stabilire più percorsi in modo che le persone possano spostarsi regolarmente e in sicurezza da un Paese all’altro. E quando i rifugiati e i migranti arriveranno ai vostri confini, vi sosterremo nello sviluppo di risposte regolari che rispondano alle sfide dei movimenti misti. Tra queste, procedure d’asilo efficienti in grado d’identificare in modo rapido ed equo coloro che hanno bisogno di protezione internazionale e che prevedano il rimpatrio delle persone nel loro Paese – in sicurezza e con dignità – quando si stabilisce che non hanno bisogno di tale protezione.
Ma per favore, Presidente,
Non lasciamoci ingannare dall’illusione che le crisi possano essere contenute o isolate. Avevo avvertito il Consiglio di Sicurezza di questo a maggio.
Basta guardare all’Afghanistan, un Paese che ha lottato con conflitti e instabilità per oltre 40 anni e la cui popolazione è stata ripetutamente costretta a fuggire, molti sono rifugiati in Pakistan e in Iran, Paesi che desidero ringraziare per il loro generoso sostegno di lunga data. Ma la verità è che l’impatto dell’instabilità in Afghanistan – in termini di movimenti di rifugiati – si fa sentire molto più lontano, sulle rotte verso l’Europa, fino al sud-est asiatico e persino all’America Latina.
Lo stesso vale per l’impatto della guerra in Ucraina. Una guerra che non solo ha provocato milioni di persone in fuga verso i Paesi europei, ma che ha anche contribuito all’insicurezza alimentare in Africa e oltre.
E i conflitti irrisolti e interconnessi nell’est della Repubblica Democratica del Congo continuano a causare instabilità e costringono le persone alla fuga – eventi spesso correlati tra loro – in tutta la regione dei Grandi Laghi in Africa.
Il punto è: tutti abbiamo un’interesse per la pace e per dare una risposta alle persone in fuga, insieme. Costruire muri e fermare le imbarcazioni non funziona. Le risposte non coordinate non funzionano. Servono solo ad alimentare ulteriormente la divisione e la sfiducia, mettendo un Paese contro l’altro, e un popolo contro l’altro.
Presidente,
Allo stesso modo, non possiamo permetterci che l’azione umanitaria diventi frammentata o politicizzata, cosa che, purtroppo, stiamo osservando. L’UNHCR è un’agenzia umanitaria apolitica e ha la responsabilità – che lei ci ha affidato – di stare al fianco dei rifugiati ovunque si trovino. Non abbandoneremo le persone sfollate perché non siamo d’accordo con i loro leader. Il motivo per cui siamo in grado di operare in oltre 580 sedi in tutto il mondo è proprio per la natura non politica del nostro mandato. È fondamentale che questa sia mantenuto, e persino rafforzato, in modo da poter rimanere efficaci.
E per questo, abbiamo bisogno del vostro continuo sostegno, anche in questa commissione. Mentre navighiamo in un mondo di discordia e divisione, è più importante che mai che l’Assemblea Generale dia l’esempio condividendo pienamente i nostri valori comuni di imparzialità, neutralità e umanità.
E lo ha fatto ripetutamente, Presidente,
Ad esempio, quando ha adottato il Global Compact sui Rifugiati nel 2018, ma anche successivamente in due Global Refugee Fora. Il secondo Forum Globale sui Rifugiati, tenutosi lo scorso dicembre a Ginevra, è stato un momento edificante di unità, un’opportunità per riaffermare il nostro impegno collettivo per la condivisione delle responsabilità, come dimostrato dagli oltre 2000 impegni presi, molti dei quali stanno già avendo un impatto reale sulle persone sfollate. Il Global Refugee Forum non ha lasciato dubbi sul fatto che la giusta visione della solidarietà può aiutarci a superare le nostre divisioni.
Solidarietà con i rifugiati prima di tutto, ma solidarietà anche con quei Paesi che accolgono un gran numero di rifugiati. Paesi come il Bangladesh, l’Etiopia, la Giordania, la Turchia, la Colombia e tanti altri che non possono essere lasciati soli ad assumersi la responsabilità. Contano sul sostegno continuo, anche finanziario.
Purtroppo, negli ultimi anni, i finanziamenti umanitari sono diventati sempre più imprevedibili. Siamo pienamente consapevoli delle numerose priorità concorrenti, sia interne che estere, che continuano a mettere a dura prova i bilanci dei Paesi donatori. L’UNHCR, insieme all’intero settore umanitario, ha attraversato un periodo molto difficile dal punto di vista finanziario negli ultimi 12 mesi, a seguito dell’ondata di sostegno legata al COVID e di situazioni d’emergenza come l’Afghanistan e l’Ucraina. Il successivo calo dei finanziamenti ci ha costretto ad adottare misure per contenere le nostre spese, il che ha portato a una riduzione di 1.000 posti di lavoro. Ha anche costretto a congelare le attività salvavita d’emergenza nelle nostre operazioni. E mentre la nostra situazione finanziaria per il 2024 è successivamente migliorata, grazie in particolare agli Stati Uniti e agli altri nostri principali donatori, i livelli di finanziamento per il 2025 e oltre rimangono incerti, mettendo ulteriormente a rischio la capacità nostra e dei Paesi ospitanti di rispondere alle crisi dei rifugiati e degli sfollati in modo prevedibile e flessibile. Soprattutto quando la maggior parte dei finanziamenti che riceviamo è a destinazione vincolata, il che ci impedisce di allocare le risorse dove sono più necessarie.
Questo “timore finanziario” ha anche accelerato un processo di riallineamento strategico in corso, per stabilire le priorità in modo più efficiente e iniziare a consolidare i guadagni di quella che è stata probabilmente la riforma di più vasta portata della nostra storia. Ma i guadagni di efficienza, per quanto necessari, non possono da soli spiegare il divario ricorrente tra le esigenze complessive e i finanziamenti disponibili.
Presidente,
Dobbiamo anche andare oltre il riallineamento e la definizione delle priorità. In questo contesto di emergenze umanitarie senza sosta, di finanziamenti umanitari insufficienti e in cui la condizione di sfollati è sempre più prolungata nel tempo, con le comunità ospitanti sempre più colpite, dobbiamo ripensare il nostro approccio al tema rifugiati, per un approccio più sostenibile. E la strada verso la sostenibilità passa attraverso una maggiore inclusione dei rifugiati nelle comunità che li ospitano, per quanto possibile, e fino a quando non potranno tornare a casa sani e salvi e con dignità. Significa anche investire e rafforzare i sistemi nazionali – ad esempio la sanità, l’istruzione, la formazione professionale, l’occupazione, le banche e così via – in modo che sia le comunità ospitanti che i rifugiati possano beneficiarne.
Inclusione non significa certo integrazione. Guardate gli esempi dell’Uganda o della Colombia, Paesi generosi che accolgono rifugiati e che hanno riconosciuto che i rifugiati possono essere una risorsa per le loro economie e per le loro società mentre vivono sfollati. Il Kenya è arrivato alla stessa consapevolezza, e presto lancerà il suo piano ‘Shirika’ per avvicinare rifugiati e comunità ospitanti, abbattendo i sistemi – e i servizi – paralleli che per molti anni hanno avvantaggiato un gruppo escludendo l’altro, causando tensioni e frustrazioni per tutti. La conclusione a cui tutti questi e altri Paesi hanno raggiunto è che è più efficiente e più sostenibile che i rifugiati siano autosufficienti e inclusi nelle strutture nazionali, piuttosto che siano lasciati completamente dipendenti dagli aiuti umanitari.
Questo approccio ha diversi ed evidenti vantaggi. I suoi benefici sono più chiari e diretti per le comunità che lo ospitano. Attinge al capitale umano degli sfollati. Consente ai Paesi ospitanti di attrarre ulteriori finanziamenti per lo sviluppo, anche nelle aree remote dove spesso i rifugiati vivono. Ne beneficia l’UNHCR, in quanto ci consente di concentrarci sulla protezione e sulle soluzioni. Ed è meglio per i donatori, in quanto può alleviare parte della pressione sui finanziamenti umanitari.
Ovviamente riconosciamo che questo non può essere un approccio unico per tutti. Non tutte le situazioni saranno ugualmente favorevoli a quest’approccio. Ma l’UNHCR accompagnerà e sosterrà tutti gli Stati interessati a progredire sulla strada della sostenibilità, attingendo alle nostre partnership con i governi ospitanti, gli attori dello sviluppo, le istituzioni finanziarie, le banche multilaterali e il settore privato, nonché con le organizzazioni guidate da rifugiati, donne e membri delle comunità locali.
Presidente,
Anche se lavoriamo per rendere più sostenibili la risposte alle persone in fuga, non possiamo perdere di vista la necessità di trovare soluzioni sia per gli sfollati che per gli apolidi.
Siamo orgogliosi degli immensi progressi compiuti nell’ultimo decennio su apolidia, nel contesto della campagna #IBelong. Paesi come il Kirghizistan, il Turkmenistan, la Thailandia e altri hanno fatto notevoli passi avanti nell’affrontare o addirittura eliminare completamente l’apolidia. L’Alleanza globale per porre fine all’apolidia, lanciata proprio il mese scorso, si baserà sullo slancio degli ultimi 10 anni. Perché l’apolidia è risolvibile.
E mentre le soluzioni per le persone sfollate continuano ad essere sfuggenti, non possiamo perdere la speranza. Per trovare soluzioni mentre le persone vivono ancora sfollate all’interno dei loro Paesi e delle loro aree di origine, l’UNHCR lavora a stretto contatto con il Consigliere speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite per le soluzioni agli sfollati interni Robert Piper sui prossimi passi dell’agenda delle soluzioni per gli sfollati interni.
E, naturalmente, per trovare soluzioni per chi è rifugiato. Anche attraverso il reinsediamento e percorsi complementari. Il reinsediamento, anche se mai sufficiente a soddisfare bisogni enormi, rimane uno strumento essenziale per proteggere i rifugiati più vulnerabili. Il reinsediamento e altri percorsi complementari lanciano un forte segnale di solidarietà ai Paesi che ospitano grandi popolazioni di rifugiati.
Ma alla fine, la soluzione più duratura è quella che prevede il ritorno delle popolazioni sfollate alle loro case. Perché la maggior parte dei rifugiati vuole tornare a casa, volontariamente e con dignità. L’UNHCR li informerà sempre e condividerà le proprie opinioni sulle condizioni nei loro Paesi d’origine, ma la decisione di tornare spetta agli sfollati stessi. Ciò non significa che la situazione nei Paesi di origine è sempre adatta a ritorni su larga scala. Ma indica la necessità di flessibilità e sostegno quando i rifugiati decidono di tornare – volontariamente – anche in condizioni imperfette.
Presidente,
In conclusione, permettetemi di ringraziare tutti voi per il sostegno che continuate a fornire all’UNHCR, e in particolare per la vostra solidarietà con tutti i rifugiati, gli sfollati e gli apolidi. I tempi sono davvero incerti e le sfide che ci attendono sono molte. Ma dobbiamo essere in grado di agire, insieme, anche nei momenti difficili. L’UNHCR non si lascerà scoraggiare. Non ci stancheremo. Le persone che serviamo contano su di noi e noi contiamo su di voi.
Grazie.
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