Il Coordinatore speciale delle Nazioni Unite per lo sviluppo del Sahel e l’UNHCR, l’Agenzia ONU per i Rifugiati, hanno avvertito oggi che senza investimenti urgenti nella mitigazione e nell’adattamento ai cambiamenti climatici, i Paesi del Sahel rischiano decenni di conflitti armati ed esodi esacerbati dall’aumento delle temperature, dalla scarsità di risorse e dall’insicurezza alimentare.
Secondo un rapporto pubblicato oggi, Moving from Reaction to Action: Anticipating Vulnerability Hotspots in the Sahel, se non controllata, l’emergenza climatica metterà ulteriormente a rischio le comunità saheliane, in quanto inondazioni, siccità e ondate di calore devastanti comprometteranno l’accesso all’acqua, al cibo e ai mezzi di sussistenza e amplificheranno il rischio di conflitti. In ultima analisi, ciò costringerà un numero crescente di persone a fuggire dalle proprie case.
“Nel Sahel, la crisi climatica si combina con l’aumento dell’instabilità e con il basso livello di investimenti nello sviluppo, creando un mix depotenziante che grava pesantemente sulle comunità saheliane, con il rischio ulteriore di compromettere il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile”, ha dichiarato il Coordinatore speciale delle Nazioni Unite per lo sviluppo nel Sahel, Abdoulaye Mar Dieye. “Esistono soluzioni, incentrate sull’iniziativa delle persone e sugli investimenti su scala, ma richiedono un impegno e una dedizione risoluti da parte di tutti, nonché i dati e le analisi giusti per sapere cosa sta per accadere, al fine di attuare risposte politiche proattive e d’impatto”.
Il rapporto prende in esame i 10 Paesi interessati dalla Strategia integrata delle Nazioni Unite per il Sahel e dal relativo Piano di sostegno in Africa occidentale e centrale: Burkina Faso, Camerun, Ciad, Gambia, Guinea, Mali, Mauritania, Niger, Nigeria e Senegal.
Le comunità del Sahel si basano sull’agricoltura e sulla pastorizia, che sono altamente vulnerabili agli impatti dei cambiamenti climatici. L’insicurezza alimentare sta già aumentando in tutta la regione, raggiungendo livelli di emergenza in alcune aree. A lungo termine, si prevede che i raccolti di mais, miglio e sorgo diminuiranno a causa degli shock climatici, logorando la resilienza delle popolazioni locali.
“L’aumento delle temperature e le condizioni meteorologiche estreme nel Sahel stanno aggravando i conflitti armati, che stanno già distruggendo i mezzi di sussistenza, interrompendo la sicurezza alimentare e provocando migrazioni forzate”, ha dichiarato Andrew Harper, consigliere speciale dell’UNHCR per l’Azione per il clima. “Solo un massiccio impulso alla mitigazione e all’adattamento climatico collettivo può alleviare le conseguenze umanitarie attuali e future”.
Anche con politiche ambiziose di mitigazione del clima, si prevede che le temperature nel Sahel aumenteranno di 2,5°C entro il 2080. Se l’azione urgente viene ulteriormente ritardata, potrebbero aumentare di 4,3°C.
Nonostante le tendenze negative, il Sahel è dotato di abbondanti risorse naturali.
La regione si trova su una delle più grandi falde acquifere dell’Africa e ha un immenso potenziale per le energie rinnovabili, compresa un’abbondante capacità di energia solare, e una popolazione giovane e dinamica – circa il 64% dei saheliani ha meno di 25 anni.
Se si intraprendono subito azioni coraggiose di mitigazione e adattamento al clima per sostenere i Paesi e le comunità saheliane e si dà priorità alla collaborazione tra i pilastri umanitario, dello sviluppo e della costruzione della pace, c’è un grande potenziale per cambiare la traiettoria della regione.
FINE
Per informazioni:
Per UNHCR:
Per l’ufficio del Coordinatore speciale delle Nazioni Unite per lo sviluppo del Sahel:
Informazioni sul progetto Sahel Predictive Analytics
Il progetto Sahel Predictive Analytics, su cui si basa il rapporto, mira a guidare i responsabili delle decisioni anticipando e identificando rapidamente le situazioni in cui i rischi si sovrappongono per consentire una migliore preparazione e per supportare l’analisi del contesto, la pianificazione, la formazione e lo sviluppo delle capacità, delineando anche i punti in cui sono necessari ulteriori dati.
L’iniziativa di analisi predittiva è finanziata dal Ministero degli Esteri tedesco e facilitata dall’UNHCR a sostegno dell’ufficio del Coordinatore speciale delle Nazioni Unite per lo sviluppo nel Sahel. È stata avviata dal Comitato di alto livello per i programmi (HLCP) e successivamente dal Consiglio superiore per il coordinamento (CEB) come primo approccio all’intero sistema delle Nazioni Unite che combina l’apprendimento automatico, la modellazione predittiva e la previsione strategica per identificare gli hotspot di rischio nel Sahel.
Il rapporto raccoglie previsioni a breve, medio e lungo termine da una serie di fonti di dati e metodologie fornite da un consorzio di 19 organizzazioni leader a livello mondiale che seguono l’interazione e i cicli di feedback di cambiamenti climatici, sicurezza alimentare, conflitti, migrazioni e movimenti forzati di popolazioni. Queste organizzazioni sono: adelphi, il Climate Hazards Center (CHC) dell’Università della California Santa Barbara, il Centro di Barcellona per gli Affari Internazionali (CIDOB), il Center for International Earth Science Information Network della Columbia University (CIESIN), la Colorado State University (CSU), Institute for Demographic Research (CIDR) della City University of New York (CUNY), Danish Refugee Council (DRC), German Council on Foreign Relations (DGAP), European Centre for Development Policy Management (ECDPM), Institut de Formation et de Recherche Démographiques (IFORD), Initiative Prospective Agricole et Rurale (IPAR), Istituto di Potsdam per la ricerca sull’impatto climatico (PIK), il team Prediction-Visualisation-Early Warning (PREVIEW) del Ministero degli Esteri tedesco (FFO), il Dipartimento delle Nazioni Unite per gli Affari economici e sociali (UNDESA), Centro universitario delle Nazioni Unite per la ricerca politica (UNU-CPR), Università di Kassel, il progetto Violence Early-Warning System (ViEWS) dell’Università di Uppsala, il Walker Institute dell’Università di Reading e il West African Science Service Centre on Climate Change and Adaptive Land Use (WASCAL).
Condividi su Facebook Condividi su Twitter