In un nuovo libro di cucina, rifugiati e sfollati delle Americhe e dei Caraibi condividono le loro storie e i sapori di casa, passati e presenti.
Natasha, 39 anni, aveva imparato a cucinare da bambina, insieme alla madre. In seguito ha continuato la tradizione con sua figlia, con la quale trascorreva lunghi pomeriggi insieme nella cucina della loro casa in El Salvador. Ma tutto questo è finito bruscamente tre anni fa.
“I membri della banda hanno molestato me e mia figlia… Volevano che si unisse a loro”, spiega Natasha, aggiungendo che la banda ha fatto ricorso a diversi modi per terrorizzarle, “persino camminando sul nostro tetto per spaventarci”.
Madre e figlia hanno vissuto in un costante stato di paura fino a quando i membri della banda hanno rapito e ucciso la figlia di un loro caro amico. È stato allora che Natasha ha capito che lei e sua figlia non avevano altra scelta che lasciare il loro Paese. Sono fuggite con poco più di quello che potevano portare in uno zaino.
In Belize, Natasha ha faticato a trovare lavoro e ha deciso di mettere a frutto le competenze culinarie apprese al fianco della madre e di iniziare a cucinare per vivere. Grazie alla generosità di un amico, che le ha permesso di accedere alla cucina di un ristorante, Natasha ora prepara il cibo che vende ai lati dell’autostrada.
“Ho avuto la fortuna di trovare qui degli amici che mi hanno insegnato le ricette del Belize”, dice Natasha, che spera che lei e sua figlia, ora sedicenne, vengano presto riconosciute come rifugiate in Belize.
La sua ricetta – pollo con riso e fagioli – si trova in From Our Table to Yours: Fusion Cooking, un nuovo libro di cucina pubblicato dall’UNHCR, l’Agenzia ONU per i Rifugiati, che presenta le ricette di 14 persone costrette a fuggire ed è disponibile per il download gratuito.
Ogni ricetta del libro combina i sapori dei Paesi di origine dei rifugiati e degli sfollati con quelli delle loro nuove case. Il piatto di Natasha combina il riso e i fagioli tipici del Belize con il pollo e le verdure tipici di El Salvador.
Il cibo può essere un potente strumento di integrazione, come lo è stato per Natasha, ma per molte persone costrette a fuggire il cibo è anche una preoccupazione costante. Secondo una recente indagine dell’UNHCR, il 48% dei rifugiati nelle Americhe ha dichiarato di mangiare solo due volte al giorno, mentre il 6% ha affermato di poter consumare un solo pasto al giorno.
È stata la fame, oltre alle difficoltà di accesso alle medicine tanto necessarie, a spingere Alfredo, un insegnante in pensione di 68 anni, a lasciare il Venezuela. Quando la sua pensione non è stata più sufficiente a coprire nemmeno i bisogni alimentari più elementari, è partito per il Cile, dove la figlia e i nipoti vivevano da diversi anni.
Ma nella capitale cilena, Santiago, ha avuto difficoltà a trovare un lavoro stabile.
“Per molti mesi ho bussato a tante porte, ma c’era sempre qualche motivo per non assumermi”, ricorda. “Perché non ero giovane, perché non avevo il visto giusto, perché ritenevano che non avessi la forza, e molte altre ragioni. È stato molto frustrante”.
Il COVID-19 ha peggiorato la situazione. Ma nel bel mezzo della pandemia, Santiago ha sentito che la parrocchia locale stava cercando volontari per una mensa dei poveri, per aiutare a preparare pasti caldi per i bisognosi. Ha iniziato a fare il volontario, imparando a preparare molti piatti cileni e a servire quelli venezuelani.
In From Our Table to Yours (Dalla nostra tavola alla tua), Alfredo condivide la ricetta del Pabellón Criollo, un piatto tradizionale venezuelano che combina cipollotto, coriandolo, peperone rosso e platano.
“Questo piatto ha tanti significati per me”, spiega, mentre taglia, frulla e scherza in cucina. “Quando ero bambino e a casa mia cucinavano questo piatto, mi rendeva felice. Oggi ne sento il profumo e ricordo quella felicità”.
*Nome cambiato per motivi di protezione.
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