Nell’ambito della crisi migratoria che registra la più rapida crescita al mondo, due leader di comunità impegnati a fornire assistenza alle persone in fuga dalla violenza sono stati nominati vincitori del Premio Nansen per i rifugiati dell’UNHCR per l’Africa.
L’anno scorso, tuttavia, con l’intensificarsi degli scontri e il diffondersi dell’insicurezza, quello che era iniziato come un movimento migratorio saltuario è diventato un flusso costante. Incerta su come affrontare gli arrivi giornalieri di decine di persone ridotte in miseria, la comunità si è rivolta a Diambendi Madiega per avere risposte.
“In un breve periodo di tempo hanno iniziato ad arrivare moltissime persone”, spiega Madiega. “La strada che porta [a nord] era piena di gente in cammino per raggiungere la nostra comunità. A un certo punto mi sono sentito sopraffatto”.
A lungo considerato un luogo di stabilità nella regione africana del Sahel, caratterizzata invece da grande incertezza, il Burkina Faso è attualmente alle prese con la crisi migratoria che registra la più rapida crescita al mondo. In risposta ai frequenti attacchi mortali contro civili e forze di sicurezza, negli ultimi due anni più di 1,4 milioni di burkinabè sono stati costretti a fuggire dalle proprie abitazioni, di cui almeno 350.000 dall’inizio del 2021.
Madiega, 67 anni, è immediatamente riconoscibile dal bastone su cui si appoggia per camminare a causa di un incidente in moto, dal colorato cappello che adorna la sua alta figura e che lo contraddistingue come il leader della comunità. La gente del posto lo chiama affettuosamente “Naaba Wogbo”, Capo Elefante.
Di fronte all’elevato numero di persone che arrivavano prive di tutto se non di pochi oggetti personali, Madiega si è sentito in dovere di aiutare. Ha comprato provviste alimentari e ha aperto il suo grande cortile permettendo alle famiglie in fuga di costruirvi rifugi temporanei per proteggersi dalle intemperie. Ben presto il cortile si è riempito di abitazioni e Madiega ha consentito la costruzione di altre centinaia di rifugi nel campo vicino.
In poco tempo ha dato ospitalità e cibo a circa 2.500 persone, ma gli arrivi continuavano. Senza più terra di sua proprietà da offrire, Madiega ha chiesto aiuto a 300 membri della comunità.
“Ho chiesto che mettessero a disposizione la loro terra affinché si potessero allestire due o tre tende e hanno acconsentito”, spiega. “Sanno che se la crisi attuale non verrà risolta, in futuro potrebbero trovarsi anche loro nella stessa situazione. Non c’è distinzione tra noi”.
Mentre Madiega ricorreva alle risorse della sua comunità, una situazione quasi identica si stava verificando a 170 chilometri a nord-est, a Dori, vicino all’instabile confine con Mali e Niger che negli ultimi anni è diventato un focolaio di attacchi e intimidazioni da parte di gruppi armati.
A seguito dell’aumento di un quinto della popolazione cittadina, che in soli due anni ha accolto 35.000 sfollati, decine di persone si radunavano ogni giorno fuori dalla casa di Maiga Roukiatou, umile discendente di una delle famiglie reali della regione.
Roukiatou, 55 anni, è una persona caparbia che ha saputo sfidare le convenzioni e i desideri della sua famiglia per sposare l’uomo che amava.
“I miei genitori volevano che sposassi un membro del mio gruppo etnico, ma ho detto ‘no, è lui che voglio’”, ci spiega. “Non è stato facile… Ci è voluto del tempo prima che i miei genitori l’accettassero”.
L’esperienza le ha insegnato a guardare oltre l’etnia di una persona. “Voglio dimostrare che tutte le etnie possono convivere in modo pacifico. Ecco perché ho iniziato ad aiutare le persone in fuga”.
La gente si affolla nel suo cortile assolato in cerca di cibo, di un a riparo temporaneo e consigli pratici su come registrarsi per ricevere assistenza dalle agenzie delle Nazioni Unite e da altri partner.
Roukiatou è particolarmente attenta ai bisogni delle donne e dei bambini che costituiscono più della metà della popolazione migrante del Burkina Faso. Molti di loro hanno assistito a violenze, tra cui l’uccisione di familiari e vicini.
Oltre a fondare una cooperativa agricola che dà lavoro sia alle donne fuggite sia alle abitanti del luogo, dedica il proprio tempo ad ascoltare le stori dei nuovi arrivati, confortandoli mentre parlano.
“Molti hanno vissuto esperienze drammatiche e hanno disturbi psicologici”, afferma Roukiatou. “Per me, se una donna può andare avanti, lo fa anche la sua comunità e l’intero Paese con lei”.
Fatoumata Diallo è arrivata a Dori un anno fa ed è rimasta con Roukiatou fino a quando l’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, le ha fornito una sistemazione. “Ci ha accolto, ascoltato, aiutato”, racconta Diallo. “Ora è come una madre per noi”.
Per la loro incrollabile dedizione nell’aiutare gli sfollati interni in Burkina Faso, Roukiatou e Madiega sono stati scelti come co-vincitori regionali per l’Africa del Premio Nansen per i Rifugiati 2021.
Il Premio Nansen è stato istituito in onore di Fridtjof Nansen, primo Alto Commissario per i rifugiati e vincitore del premio Nobel, ed è un prestigioso riconoscimento annuale dello straordinario impegno profuso da chi assiste migranti forzati o apolidi.
Quando ha saputo di essere stato insignito del premio, Madiega si è detto molto felice ma anche profondamente orgoglioso per il modo in cui i suoi vicini hanno collaborato per aiutare i loro connazionali. “Sono molto felice per quello che ha fatto questa comunità. Dimostra che siamo tutti uguali; siamo tutti burkinabè”.
Roukiatou ha affermato che aiutare le persone in fuga ha dato nuovo significato alla sua vita, ma spera che un giorno il suo aiuto non sarà più necessario.
“Aiutare le persone e lavorare come operatrice umanitaria mi ha dato tanto, è diventata la mia vita, la mia passione”, spiega. “Il mio augurio per gli sfollati è che possano tornare alle proprie case, che Dio li riporti in buona salute ai loro villaggi e che la pace regni nel Burkina Faso”.
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