I sei atleti rifugiati paralimpici attualmente impegnati nei Giochi di Tokyo ben esemplificano il potere dello sport nel promuovere l’inclusione e trasformare la vita delle persone disabili costrette alla fuga, che, secondo le stime attuali, sono circa 12 milioni. Ricardo Pla Cordero, Funzionario UNHCR per la protezione ed esperto in materia di inclusione delle disabilità, parla delle sfide che devono affrontare le persone con disabilità in situazioni di migrazioni forzate e descrive il lavoro che l’UNHCR, Agenzia ONU per i Rifugiati, svolge nel mondo per garantire loro un equo accesso a diritti e libertà.
Cosa significa per lei la Squadra Paralimpica Rifugiati?
Quando ho visto i sei membri della Squadra paralimpica – una donna e cinque uomini, provenienti da quattro Paesi diversi – guidare la sfilata degli atleti, ho avuto la netta sensazione che stessero aprendo nuovi orizzonti nelle competizioni sportive internazionali: ora anche i rifugiati con disabilità hanno uno spazio per competere alla pari con gli altri.
Quante persone rifugiate o altrimenti costrette alla fuga convivono con una disabilità?
Non esiste una cifra esatta, ma si stima che siano 12 milioni. È un numero calcolato applicando la percentuale di persone con disabilità nella società in generale – circa il 15 per cento – agli 82.4 milioni di persone che sono state costrette ad abbandonare le proprie case a causa di guerre, violenze e persecuzioni. Tuttavia, le indagini condotte in ambito umanitario mostrano che la presenza della disabilità in questi contesti può essere molto più elevata. Ad esempio, un sondaggio effettuato dall’UNHCR in Giordania nel 2019 ha mostrato che il 21% dei rifugiati siriani residenti nel Paese è portatore di disabilità.
Qual è l’impatto della migrazione forzata sulle persone con disabilità?
I dati mostrano che le persone con disabilità sentono più intensamente l’impatto della migrazione rispetto a chi non convive con disabilità fisiche, psicosociali, intellettuali o sensoriali. Spesso sono più esposte a violenze, discriminazioni, sfruttamento e abusi. Affrontano ostacoli nell’accesso ai servizi essenziali e sono di frequente escluse da opportunità di istruzione e di sostentamento. Talvolta devono scontrarsi con atteggiamenti negativi da parte della comunità o dei fornitori di servizi, o sono addirittura oggetto di attacchi mirati in alcuni contesti dove lo stigma e i pregiudizi nei confronti delle persone con disabilità sono diffusi. Tali problemi vengono spesso segnalati in tutte le operazioni dell’UNHCR.
Cosa fa l’UNHCR per aiutare le persone con disabilità?
L’UNHCR si adopera per aiutare rifugiati e sfollati interni ad accedere agli stessi diritti e libertà fondamentali di chiunque altro. In alcuni casi i rifugiati non hanno gli stessi diritti dei cittadini dei Paesi in cui vivono. Lo stesso può accadere ai rifugiati con disabilità, i quali, ad esempio, potrebbero essere esclusi da programmi di protezione sociale, al contrario di chi è portatore di disabilità e cittadino del Paese. Collaboriamo con i nostri partner e gli Stati membri delle Nazioni Unite per garantire il rispetto della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, che le riconosce come parte della diversità umana e chiede agli Stati di garantire che possano accedere ai diritti in condizioni di pari opportunità.
Potrebbe sembrare azioni difficili da attuare in concreto. Quale approccio adotta l’UNHCR?
L’UNHCR ha adottato un approccio basato sulla comunità, in cui i membri collaborano nel rimuovere le barriere che possono impedire alle persone con disabilità di accedere agli stessi servizi o assistenza degli altri rifugiati, come l’accesso al cibo, all’acqua o all’istruzione. Possono essere attivate anche iniziative di formazione degli insegnanti finalizzate all’inclusione dei bambini con disabilità nelle classi o a facilitare l’accesso a dispositivi di assistenza come le sedie a rotelle.
È difficile per le persone con disabilità vivere in un campo per rifugiati?
I campi rappresentano una sfida per tutti coloro che vi risiedono, e a maggior ragione possono essere ambienti particolarmente difficili per le persone con disabilità. Poiché si tratta di insediamenti temporanei, di solito non esiste una pianificazione a lungo termine per predisporre infrastrutture come strade asfaltate o rampe per sedie a rotelle, e spesso ci sono fogne a cielo aperto o grondaie. Inoltre, le persone con disabilità non hanno lo stesso accesso a informazioni chiave, che spesso vengono diffuse tramite i responsabili o in aree centrali difficili da raggiungere per loro. Quindi sì, sono ambienti particolarmente ostili per le persone con disabilità.
E gli oltre due terzi di rifugiati che vivono nelle aree urbane?
Anche le città possono essere inaccessibili e i rifugiati tendono a vivere in aree urbane poco sviluppate, con meno accesso ai trasporti o ai mezzi di sostentamento. Un approccio basato sulla comunità è applicabile anche in questi contesti: l’accesso all’istruzione e ai mezzi di sussistenza viene favorito tramite azioni di empowerment individuale, formazione delle competenze, dispositivi di assistenza o aiuti in denaro per coprire le spese aggiuntive relative ai trasporti. Per coloro che vivono in aree che offrono servizi ai propri cittadini portatori di disabilità, è fondamentale integrarli nelle reti nazionali per disabili e nelle organizzazioni per i rifugiati.
In che modo l’UNHCR lavora con i gruppi di advocacy e le organizzazioni comunitarie per aiutare i rifugiati con disabilità?
L’UNHCR riconosce il ruolo centrale delle persone con disabilità, compresi i rifugiati, come agenti di cambiamento. Collaboriamo con International Disability Alliance, una rete che rappresenta migliaia di organizzazioni per persone con disabilità, per rafforzare la loro partecipazione nella risposta a situazioni migratorie. Nel 2020, uno dei suoi membri, il RIADIS, la Rete latinoamericana delle persone con disabilità e delle loro famiglie, ha prodotto una serie di materiali informativi per rifugiati con disabilità sulla prevenzione e risposta al COVID-19 e sulla lotta alla violenza di genere. Quest’anno è stato pubblicato un rapporto completo sulla situazione dei rifugiati con disabilità nelle Americhe, in collaborazione con l’UNHCR e i partner nella regione. Sostenitori di alto profilo come Nujeen Mustafa e l’atleta paralimpico Abbas Karimi usano la loro influenza per sostenere i rifugiati con disabilità.
Che ruolo può avere lo sport in tutto questo?
L’accesso e la partecipazione allo sport è un diritto sancito dalla Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, compresi i rifugiati. Lo sport offre uno spazio accogliente per i rifugiati e le comunità locali dove si possono instaurare amicizie e promuovere una convivenza pacifica. Favorisce il benessere fisico e psicologico, sviluppa le capacità di vita e la fiducia in se stessi necessarie per perseguire i propri obiettivi. Alia Issa, Anas, Parfait, Ibrahim, Shahrad e Abbas abbattono le barriere facendo ciò che più amano; fare sport può essere un modo per cambiare il mondo, per chiunque.
La Squadra Paralimpica Rifugiati che ha guidato la cerimonia di apertura dei Giochi di Tokyo, anche se si è svolta in uno stadio vuoto, ha aperto un nuovo capitolo, dimostrando l’importanza della rappresentanza e ciò che le persone con disabilità, inclusi i rifugiati, possono ottenere quando hanno accesso alle stesse opportunità di chiunque altro. Nel sostenere la squadra, spero che le persone sostengano anche l’inclusione dei rifugiati con disabilità in tutti gli altri aspetti della società.
Per ulteriori informazioni sul lavoro dell’UNHCR a favore delle persone con disabilità, si veda: UNHCR – Persons with Disabilities
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