Mentre ricorre la Settimana mondiale delle vaccinazioni (World Immunization Week), che mira ad aumentare la fiducia nei vaccini, i rifugiati volontari lavorano per combattere la disinformazione e incoraggiare i rifugiati più anziani a farsi vaccinare.
In questo campo, che oggi ospita 80.000 rifugiati siriani, ha incontrato e sposato sua moglie e due anni fa ha accolto il loro primo figlio. È stato il suo legame con il campo e il senso di comunità che ha portato Sameeh, 32 anni, a diventare un volontario per Save the Children, uno dei partner sanitari dell’UNHCR, Agenzia ONU per i Rifugiati, a Za’atari.
Quando ha iniziato a fare volontariato, visitava le famiglie del suo quartiere, dicendo loro come accedere ai servizi sanitari e spiegando i vantaggi di vaccinare i loro figli contro le malattie comuni. Ma dopo lo scoppio del COVID-19 l’anno scorso, il significato del suo ruolo – e il suo impegno – è aumentato.
“Prima del COVID-19, il mio ruolo di volontario per la salute della comunità nel campo di Za’atari era come qualsiasi altro normale lavoro”, ha spiegato Sameeh. “Ma ora il mio lavoro significa qualcosa. Si sente che c’è un’urgenza. Ottenere il vaccino contro il COVID-19 potrebbe essere una questione di vita o di morte”.
La Giordania, che attualmente ospita più di 750.000 rifugiati registrati, di cui 665.000 dalla vicina Siria, è stato uno dei primi paesi al mondo a includere i rifugiati nel suo programma nazionale di vaccinazione anti COVID-19 e iniziare a vaccinarli contro il virus.
La priorità per il vaccino è determinata dal Ministero della Salute, sulla base di fattori di rischio tra cui età, malattie croniche e professione. Dall’inizio della campagna a metà gennaio, quasi 5.000 rifugiati siriani che vivono nei due campi principali di Za’atari e Azraq hanno ricevuto il vaccino, mentre altri 13.000 residenti sono registrati sulla piattaforma online del governo e in attesa di essere convocati.
Queste cifre sono ampiamente in linea con le tendenze nazionali più ampie, e il graduale aumento dei tassi di vaccinazione è un passo positivo per la lotta al virus. Allo stesso tempo, ulteriori campagne di sensibilizzazione sono rivolte ai rifugiati nelle aree urbane per incoraggiarli a fare il vaccino, con l’obiettivo di combattere la disinformazione sui potenziali effetti collaterali.
Sameeh dice che gran parte del suo lavoro consiste nel contrastare le false informazioni che circolano sui social.
“La gente qui è in generale spaventata dal vaccino. Ci sono molte voci e preoccupazioni sugli effetti collaterali. Il mio lavoro è quello di fornire loro le informazioni corrette”, ha detto. “Direi che una volta che parlo con le persone, la maggioranza finisce per registrarsi per il vaccino. Avere una conversazione è importante”.
Gli sforzi di Sameeh e dei suoi colleghi volontari riflettono l’obiettivo della Settimana mondiale delle vaccinazioni (World Immunization Week) di quest’anno, in corso dal 24 al 30 aprile, che mira a promuovere la fiducia nei vaccini e a mantenere o aumentare la loro accettazione sotto il motto ‘I vaccini ci avvicinano’.
Mentre sempre più persone si vaccinano, Sameeh è orgoglioso del fatto che il suo lavoro sta avendo un effetto positivo. Sente anche che un po’ della paura che attanagliava il campo durante la prima fase della pandemia sta cominciando a svanire.
“Vogliamo solo riavere una vita normale. Man mano che più persone hanno ricevuto il vaccino, le cose sono migliorate. Soprattutto ora che molti degli anziani nel campo sono stati vaccinati”, ha detto. “Siamo molto fortunati a poter ricevere il vaccino qui nel campo di Za’atari. I rifugiati sono trattati come qualsiasi altra persona”.
In Libano, iniziative simili sono state intraprese per incoraggiare i 7.000 rifugiati del paese di età pari o superiore ai 75 anni a ricevere il vaccino. Sono stati tra i primi ad avere diritto alla vaccinazione nell’ambito del piano di diffusione nazionale elaborato dal Ministero della Salute Pubblica del paese, che copre tutte le comunità del Libano, compresi i rifugiati.
Squadre di volontari hanno visitato le case dei rifugiati più anziani per parlare loro dei benefici della vaccinazione e per aiutarli a registrarsi sul sito web del governo. Il call center dell’UNHCR nel paese ha integrato gli sforzi di sensibilizzazione, assicurando che tutti i rifugiati dai 75 anni in su fossero contattati per il vaccino.
Tra questi c’era il rifugiato iracheno Boulos, 75 anni, che ha ricevuto la visita di uno dei volontari dell’UNHCR che lo ha incoraggiato a fare il vaccino e lo ha aiutato a compilare il modulo online.
“Avevo dei dubbi, ma poi abbiamo avuto dei morti [per il virus] vicino a noi, tre persone”, ha detto Boulos. “Così mi sono sentito incoraggiato e ho pensato ‘vaccinarsi è meglio’. Sulla base di tutto questo, ho deciso di fare l’iniezione”.
Oltre a proteggere i rifugiati dal virus stesso, il vaccino ha anche offerto una via d’uscita dall’isolamento per molti rifugiati anziani. La rifugiata siriana Amina, 85 anni, viveva da sola con suo figlio Abdo dall’inizio della pandemia, senza poter vedere gli altri nove figli e i molti nipoti.
Abdo è stato contattato per conto di sua madre, che ha problemi di udito, da un volontario, che lo ha incoraggiato a convincerla a fare il vaccino. Dopo aver fatto la vaccinazione, è di nuovo circondata dalla sua famiglia allargata.
“Per Amina, il vaccino non ha significato solo proteggere la sua salute”, ha detto Dalal Harb, responsabile della comunicazione dell’UNHCR per il Libano. “Il vaccino è un’opportunità per lei di riunirsi di nuovo in sicurezza con la sua famiglia che si prende cura di lei”.
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