Meno di un anno dopo il ritorno a casa dopo un primo periodo di esilio, Paul e la sua famiglia hanno cercato nuovamente rifugio nella RDC in seguito all’ultima ondata di violenza nella Repubblica Centrafricana.
“Stava succedendo di nuovo”, ha detto Paul, 28 anni, che ha capito che sarebbe stato costretto a fuggire dalla RCA per la seconda volta.
Paul si è ora unito a migliaia di altri rifugiati a Zongo, città al di là del fiume che bagna Bangui, nella Repubblica Democratica del Congo (RDC).
L’insicurezza e la violenza sono scoppiate nella RCA dopo le elezioni presidenziali e parlamentari dello scorso dicembre, costringendo quasi 250.000 persone a fuggire. La maggior parte dei rifugiati – circa 90.000 – sono nella RDC, secondo le autorità locali. Altri sono fuggiti in Camerun, Ciad e Repubblica del Congo, mentre più di 130.000 persone rimangono sfollate all’interno della RCA.
La prima volta che Paul e la sua famiglia sono stati costretti a fuggire è stata nel 2014, un anno dopo che i ribelli avevano spodestato l’ex presidente Francois Bozize, scatenando rappresaglie e anni di brutale violenza in tutto il paese.
Allora, Paul si unì a centinaia di migliaia di persone in fuga dalle loro case. Ha attraversato il fiume Ubangui lungo il confine tra RCA e RDC, guardando con orrore le barche sovraccariche che si rovesciavano prima che la gente potesse raggiungere la sicurezza.
“Ho visto persone morire in acqua”, ha detto.
Paul ha trovato la sicurezza nella RDC e ha trascorso sei anni vivendo come rifugiato a Mole, un campo nel nord del paese. Nel febbraio 2020, la famiglia ha deciso di tornare a casa con il sostegno dell’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, come parte di un programma di rimpatrio volontario. Paul ha attraversato lo stesso fiume – questa volta con calma e in sicurezza – per tornare a casa.
Per quasi un anno, Paul e sua moglie Pascaline hanno sostenuto i loro quattro figli producendo e vendendo vino di palma tradizionale. Quando la violenza ha raggiunto la capitale quella notte di gennaio, ha avuto paura.
“Potevo vedere la gente cadere a terra morta. Alcuni di loro erano miei amici”, ha detto Paul.
Fuggire significava tornare a una vita di paura e incertezza. Per alcune notti la famiglia ha dormito sotto le stelle senza un riparo. Paul temeva che i suoi figli si ammalassero. Avevano sempre fame, ma il suono degli spari dall’altra parte del fiume impediva a Paul di tornare nei campi che avevano lasciato.
“Queste armi hanno sempre un impatto sulla popolazione”, ha detto, fissando una pentola vuota mentre sottili raggi di luce bucavano le foglie di palma secche che formano il tetto del suo semplice rifugio. “Guardate come dormiamo con i bambini sul pavimento”.
L’UNHCR sta lavorando con il governo e i partner per trasferire migliaia di rifugiati in siti più sicuri e meglio attrezzati, più lontani dal confine. Il primo sito, che si trova nel villaggio di Modale, vicino a Yakoma nella provincia del nord Ubangi, può ospitare fino a 10.000 rifugiati ed è già in costruzione. Un sito simile vicino a Zongo è in fase di identificazione.
“Quando la gente viene qui, non ha un riparo e non è lontana dal fiume. Fa molto freddo”, ha detto Tiaani Kawa, funzionario di Information Management dell’UNHCR a Zongo. “Stiamo registrando circa 1.000 persone al giorno, e poi diamo loro coperte e altri articoli non alimentari come zanzariere e stuoie per dormire. La situazione qui è molto precaria”.
L’UNHCR sta anche prendendo provvedimenti per prevenire la diffusione del COVID-19, distribuendo sapone e secchi per l’acqua ai rifugiati lungo tutto il confine, dato che la salute e l’igiene di base restano una preoccupazione importante. All’8 marzo, l’UNHCR e il governo della RDC hanno registrato quasi 50.000 rifugiati appena arrivati dalla RCA da gennaio.
Paul aiuta altri rifugiati a costruire rifugi e a cercare legna per guadagnare un po’ di soldi e comprare cibo.
“Quello che credo nel mio cuore è che la pace dovrebbe tornare, perché se non c’è pace, non c’è modo di tornare al nostro villaggio”.
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