Conflitto e migrazioni forzate hanno aggravato secoli di discriminazione contro la minoranza Muhamasheen in Yemen, negando a questa comunità l’accesso al lavoro, alla documentazione e agli aiuti umanitari.
“Qui è dove cucino e qui è dove dormiamo”. Mariam indica un piccolo cumulo di cenere circondato da pietre, accanto a un tappeto logoro steso sul pavimento del rifugio buio e fatiscente. “Il più delle volte, mangiamo solo una volta al giorno. Non ho combustibile o legna da ardere, così bruciamo bottiglie di plastica e rifiuti quando abbiamo qualcosa da cucinare”, ha detto.
Mariam, 50 anni, e la sua famiglia sono stati costretti a fuggire dalla loro casa a Sa’ada, nello Yemen nord-occidentale, dopo lo scoppio del conflitto nel 2015. Ora affrontano una battaglia quotidiana per la sopravvivenza insieme ad altre 136 famiglie in un sito che ospita gli sfollati interni nel distretto di Kharif del governatorato di Amran, a nord della capitale Sana’a.
Vedova con sei figli, Mariam ha adottato sette dei suoi nipoti dopo che suo fratello e sua moglie sono stati uccisi nel bombardamento che l’ha costretta a lasciare la sua casa. Denutrita e smagrita, ora deve nutrire e prendersi cura di 13 bambini da sola.
Il conflitto in Yemen ha colpito duramente l’intero paese, ma pochi hanno vissuto le privazioni così acutamente come i Muhamasheen, la comunità a cui Mariam appartiene. Il gruppo etnico soprannominato “gli emarginati” ha sofferto secoli di discriminazione e povertà prima che gli scontri scoppiassero nel 2015.
La discriminazione profondamente radicata che affrontano è ritenuta da alcuni legata alla loro origine etnica come discendenti di schiavi africani portati nella regione nel secolo VI. Sono per lo più confinati in baracche alla periferia delle città con poche opportunità economiche, e non hanno accesso ai servizi di base come acqua, servizi igienici e istruzione.
Per alleviare il senso di emarginazione che circonda il gruppo, le autorità di Sana’a li hanno recentemente ribattezzati i “nipoti di Bilal”, dal nome di una figura storica molto rispettata nel mondo musulmano – un ex schiavo africano vicino al profeta Maometto che ha guidato la prima chiamata alla preghiera.
Prima di essere costretta a fuggire, Mariam lavorava come governante, spazzando e pulendo i pavimenti per guadagnare un po’ di soldi per sfamare la sua famiglia. Ma da quando è fuggita dalla sua casa non è stata in grado di trovare un lavoro, e non ha potuto permettersi di comprare materiale scolastico nè i 12.000 rial yemeniti (circa 20 dollari) per i documenti d’identità per la maggior parte dei suoi figli.
Di conseguenza, solo quattro sono attualmente iscritti a scuola. “Non ho soldi per comprare libri o uniformi. A malapena abbiamo abbastanza per permetterci un pasto al giorno”, ha detto Mariam. I bambini che frequentano le lezioni devono camminare cinque chilometri al giorno per frequentare la scuola vicina.
Mariam dubita che l’istruzione possa fare molto per migliorare le loro prospettive in ogni caso, dato che i Muhamasheen spesso hanno poche alternative a lavori umili e mal pagati. Suo figlio adottivo Hassain, 20 anni, guadagna un po’ di soldi raccogliendo e vendendo rifiuti riciclabili nel sito di accoglienza di Kharif per integrare quel poco sostegno che ricevono dalle agenzie umanitarie.
“Di notte fa molto freddo, ma non abbiamo una coperta per ognuno, quindi ogni coperta è condivisa in tre”, ha detto Mariam, indicando una piccola pila di coperte piegate in un angolo della tenda.
La mancanza di documenti d’identità e l’esclusione da qualsiasi appartenenza tribale significano anche che Mariam e la maggior parte dei suoi figli sono spesso ineleggibili per le distribuzioni di cibo e altre forme di aiuto umanitario, e ricevono solo una frazione dell’assistenza di cui hanno bisogno in base ai documenti dei suoi quattro figli.
Mentre il numero effettivo di Muhamaseen non è noto, le stime vanno da mezzo milione a 3,5 milioni, con la maggior parte che risiede nei governatorati di Al Hudaydah, Taizz, Ibb, Lahj, Mahaweet, Hajjah e Hadramout.
Sei anni di conflitto hanno costretto quasi quattro milioni di yemeniti a fuggire all’interno del paese in cerca di sicurezza. La stragrande maggioranza (76%) sono donne e bambini.
Solo nel 2020, circa 172.000 persone sono state nuovamente costrette a fuggire, rendendo gli yemeniti la quarta più grande popolazione di sfollati interni (IDP) nel mondo.
L’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, sta fornendo assistenza d’emergenza tra cui alloggi, forniture essenziali per la casa e assistenza in denaro ai più vulnerabili, per rispondere alle nuove ondate di sfollati interni e ai bisogni delle persone sfollate da lungo periodo all’interno del paese.
L’UNHCR ha fornito a Mariam e alla sua famiglia assistenza economica in contanti, permettendo a lei – e a un milione di altri beneficiari nello Yemen – di comprare cibo e di sostenere altri costi prioritari, come le medicine, l’affitto o le riparazioni della sua casa. L’UNHCR fornisce anche articoli essenziali come materassi, set da cucina e materiale per la costruzione di rifugi.
In coordinamento con i partner, l’UNHCR sta monitorando i bisogni delle famiglie sfollate, compresa la comunità Muhamaseen. Questo aiuterà a identificare i più vulnerabili e a garantire loro accesso agli aiuti umanitari, compreso accesso all’assistenza legale per ottenere documenti di identificazione.
Nonostante questa assistenza, milioni di persone in Yemen continuano a soffrire. Il conflitto in corso sta portando a un forte deterioramento delle condizioni di vita in tutto il paese. L’UNHCR è testimone di un’impennata dei bisogni delle persone, esacerbati da nuove linee del fronte, un’economia al collasso, meno servizi sociali e dalla perdita di mezzi di sussistenza.
Con la minaccia incombente di condizioni simili alla carestia in alcune parti del paese, i dati mostrano che le famiglie sfollate sono particolarmente a rischio di fame, specialmente le famiglie con capofamiglia donne come quella di Mariam. Con la pandemia di COVID-19 che comprime i redditi e interrompe le forniture alimentari, si prevede che la portata e l’impatto dell’insicurezza alimentare aumenteranno.
Si stima che a metà dello scorso anno 46 milioni di persone fossero state costrette a fuggire all’interno dei loro paesi a causa di conflitti e persecuzioni, rappresentando la maggior parte delle 80 milioni di persone costrette alla fuga nel mondo.
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