I rifugiati somali sono al fianco dei loro vicini sudafricani per assistere coloro che hanno sofferto di più durante la pandemia COVID-19.
Saeed Mohamed fa parte di una comunità di imprenditori somali che distribuiscono cibo a sudafricani, rifugiati e migranti vulnerabili a Pretoria, in Sudafrica. © UNHCR/Hélène Caux
“Se perdiamo la speranza, perdiamo la strada”, dice. “Quando siamo arrivati qui, i sudafricani ci hanno dato una casa. Ora (mi chiedo) cosa possiamo fare per loro?”.
Saeed è fuggito dalla guerra civile somala nel 1991, quando aveva 17 anni. Negli anni successivi, ha costruito una carriera di successo come banchiere e ora si considera parte di una comunità di imprenditori somali che hanno trovato rifugio in Sudafrica. Il coronavirus gli ha offerto l’opportunità di dare qualcosa in cambio.
Il gruppo ha lanciato una campagna di sostegno quando alla fine di marzo è iniziato il periodo di isolamento in tutto il paese, per aiutare le persone che probabilmente avrebbero dovuto lottare nelle rigide condizioni di permanenza a casa.
Hanno iniziato distribuendo mascherine, disinfettanti per le mani e pacchi di cibo ai residenti degli insediamenti informali di Pretoria e Johannesburg, per poi spostarsi in altre parti del Paese.
Saeed è al centro di questa operazione, alimentato dai ricordi della sua fuga dalla Somalia e dalla gentilezza che ha trovato al suo arrivo in Sudafrica.
“La gente ci ha dato cibo e un posto per dormire. Me lo ricordo molto chiaramente”, dice.
Vedere un bambino disabile giocare nel suo quartiere lo ha ispirato ad iniziare la campagna. Come molte famiglie in Sudafrica, quella del bambino si affidava al salario giornaliero della piccola azienda di famiglia, costretta a chiudere durante il lockdown.
Saeed si è recato in un negozio locale e ha riempito un carrello di cibo destinato alla famiglia, sperando di alleviare la loro lotta per un po’. Ma sapeva che c’era bisogno di fare di più. Ha convocato un incontro con la sua comunità e così è nata la campagna.
L’isolamento in Sudafrica, come in altri paesi in tutto il mondo, è stato particolarmente duro per le persone che svolgono un lavoro informale. Nonostante il suo status di una delle nazioni africane più ricche, circa il 30% dei sudafricani non ha un lavoro regolare. Non è passato molto tempo prima che gli abitanti delle città e delle periferie del Paese iniziassero ad avere difficoltà.
Rifugiati e richiedenti asilo che avevano bisogno di aiuto per comprare cibo e pagare l’affitto hanno inondato il numero verde dell’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, nella prima settimana di isolamento. Alla fine di maggio, oltre 3.000 persone avevano chiamato e oltre il 95 per cento di loro aveva perso la propria fonte di reddito e doveva affrontare la fame o lo sfratto.
Il governo fornisce sussidi di assistenza a migliaia di individui e imprese, ma sono esclusi gruppi tra cui i richiedenti asilo, i rifugiati non sufficientemente documentati, i migranti irregolari e i senzatetto.
La campagna di Saeed si rivolge a questi gruppi e ha assistito migliaia di famiglie in otto delle nove province del Sudafrica.
Il suo amico, Amin, è arrivato in Sudafrica da adolescente dieci anni fa, era tra i migliori studenti a scuola e ha frequentato l’università, grazie alla borsa di studio DAFI per i rifugiati. Ora gestisce il più grande tra i punti vendita all’ingrosso della sua famiglia a Pretoria, che è anche uno dei cinque principali punti di distribuzione per la campagna nella provincia di Gauteng.
“Capiamo come ci si sente ad avere fame, quindi, come comunità, ci siamo alzati e abbiamo risposto alla richiesta di aiuto del Presidente”.
Nei giorni della distribuzione, Amin e la sua squadra si sono recati nelle zone a basso reddito per distribuire pacchi alimentari e finora hanno effettuato tre distribuzioni a 380 famiglie – sia sudafricane che non, compresi i senzatetto.
“Capiamo come ci si sente ad avere fame, così come comunità, ci siamo alzati in piedi e abbiamo risposto all’appello del Presidente ad aiutare le persone”, spiega Amin, riferendosi all’appello del Presidente Cyril Ramaphosa a tutti coloro che possono aiutare i bisognosi a superare la pandemia.
In tutto il Sudafrica, questo spirito di generosità sta venendo a galla, con rifugiati e sudafricani uniti nella solidarietà.
Désirée, sudafricana di Port Elizabeth, è impegnata a distribuire porzioni di delizioso cibo caldo ai sudafricani senza tetto, ai migranti e ai richiedenti asilo, molti dei quali hanno perso il lavoro.
“Aiutare gli altri è nel mio sangue”, dice Désirée, che da bambina guardava sua madre nutrire gli affamati del loro quartiere.
Dalla sua cucina di Pretoria, sfama centinaia di persone ogni domenica, con l’aiuto dei suoi due figli e di alcuni amici intimi.
“Ciò che mi colpisce di più è la vista delle donne per strada con i loro bambini”, dice. “Le strade sono pericolose, soprattutto per loro. Hanno bisogno di cibo – un bambino deve mangiare”.
Ogni domenica si alza alle 6 del mattino per accendere i fornelli nella sua piccola cucina, poi inizia a sbucciare e a tritare le verdure. Un’amica con un’auto o un taxi aspetta fuori, pronta a portare il cibo nei rifugi e nelle strade di periferia dove vivono i suoi clienti.
Désirée e Amin lavorano spesso insieme, unendo le forze e le conoscenze locali per sfamare il maggior numero possibile di persone affamate. Ciò che li unisce è lo spirito di gentilezza, e con il COVID-19 tutti hanno visto l’opportunità di tendere una mano.
Fuori dal Cash-and-Carry di Amin c’è Regina, sudafricana e orgogliosa capofamiglia. In precedenza, fino alla pandemia, era stata una fisioterapista con un lavoro fisso in un’azienda privata. Ora si affida ai pacchi alimentari di Amin per nutrire i suoi figli e la sua anziana madre.
“Il COVID-19 mi ha cambiato la vita”, dice scuotendo la testa. “Ora non ho né un lavoro né uno stipendio, quindi è stata dura per noi. Stiamo lottando”.
Violetta ha ricevuto cibo a una distribuzione congiunta di Amin e Désirée nell’insediamento dove vive a Pretoria Nord. Originaria dello Zimbabwe, ha portato tre dei suoi quattro figli in Sudafrica alcuni anni fa, in cerca di una vita migliore.
“Prima non guadagnavo molto, ma ora non guadagno più nulla. È difficile perché io e i miei figli dobbiamo mangiare”, spiega. “Ci affidiamo alle donazioni private di persone come Amin e Desiree. È dura ma, grazie a Dio, ci sono persone pronte ad aiutare. Voglio solo avere un lavoro e che i miei figli possano studiare”.
Per altre migliaia di persone, questi atti di gentilezza sono un’ancora di salvezza.
“Pensate a come siamo sopravvissuti alla fuga dalla Somalia, a come siamo sopravvissuti alla guerra. Siamo fortunati, e ora vogliamo restituire”, dice Saeed.
Désirée riflette sull’aiuto che fornisce a così tante persone vulnerabili.
“La maggior parte delle persone che nutro sono giovani lontani da casa che hanno rinunciato a vivere. Non posso dare loro molto, ma posso fare in modo che abbiano un buon pasto ogni domenica”, dice. “Questi bambini potrebbero essere i futuri leader del nostro continente”.
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