A causa del trauma vissuto dalla figlia per l’esplosione del 4 agosto, la madre siriana Fahima si è rivolta all’UNHCR, che ha predisposto un aiuto professionale per il suo recupero mentale.
“Sentivo di essere tornata in Siria, sotto i bombardamenti”, ha detto la rifugiata di 35 anni, originaria di Aleppo. “Ho dimenticato di essere in Libano e che l’esplosione è avvenuta qui”.
Per Fahima, che ha perso suo figlio Mustafa prima che la famiglia fuggisse dal conflitto in Siria, quella sera di inizio agosto a Beirut ha riportato un fiume di ricordi ed emozioni dolorose.
All’inizio la sensazione più travolgente è stata il panico, perché non è riuscita a trovare subito sua figlia minore Manar, di quattro anni, che stava giocando fuori con il fratello quando è avvenuta l’esplosione.
“Ho sentito che il mondo era finito”.
“Quando sono uscita, ho visto il fumo e i vetri rotti e non riuscivo a trovare mia figlia”, ha spiegato Fahima. “Ho sentito che il mondo era finito. Ho sentito qualcosa che non può essere descritto”.
La bambina è stata poi trovata nascosta dietro a un grande vaso con delle piante davanti ad un edificio vicino e si è riunita con la madre, ma ben presto è parso molto chiaro che la potente esplosione aveva profondamente influenzato il benessere mentale di Manar.
La bambina, prima coraggiosa, con i caratteristici occhi azzurri e i riccioli biondi, ora si rifiuta di dormire a meno che la porta della sua camera da letto non sia chiusa a chiave, è terrorizzata da qualsiasi rumore forte e si rifiuta di separarsi dalla madre.
“È cambiata. Ha paure che prima non aveva”, ha detto Fahima. “Se sente un suono si mette subito le mani sulle orecchie, e dice che ci sarà un’altra esplosione. Ma prima non era così. Una volta era molto coraggiosa”.
Preoccupata per lo stato d’animo della figlia, Fahima si è rivolta all’UNHCR, l’Agenzia ONU per i Rifugiati, chiedendo aiuto. È stata indirizzata alla Makhzoumi Foundation, una ONG locale partner dell’agenzia, che fornisce servizi di salute mentale ai rifugiati siriani e ai libanesi vulnerabili con finanziamenti dell’UNHCR, e le è stato dato un appuntamento per vedere uno psicologo.
In occasione della Giornata Mondiale della Salute Mentale (10 ottobre), l’UNHCR riafferma il suo impegno ad affrontare i bisogni di salute mentale dei rifugiati, degli sfollati e degli apolidi, così come dei membri vulnerabili delle comunità ospitanti.
L’UNHCR si sforza di integrare la salute mentale e il sostegno psicosociale nel suo lavoro. Questo è diventato sempre più importante durante la pandemia di COVID-19, che minaccia di scatenare una crisi di salute mentale a causa del crescente isolamento, della perdita di mezzi di sussistenza e dell’incertezza sul futuro.
In tutta la regione del Medio Oriente e del Nord Africa, l’UNHCR e i suoi partner hanno intensificato le attività di sostegno psicosociale in risposta alle allarmanti segnalazioni di crescenti problemi di salute mentale tra le persone sfollate con la forza. Queste includono un triplice aumento delle segnalazioni di suicidio e di autolesionismo al call center nazionale dell’UNHCR in Libano.
In seguito all’esplosione di due mesi fa, la psicologa Mirna Maawad ha detto di aver visto un certo numero di bambini, che vivevano vicino all’area dell’esplosione, entrare nella sua clinica con sintomi di disturbo post-traumatico da stress (PTSD).
“Questi bambini mostrano segni di paura: piangono, urlano, rimangono molto vicini ai loro genitori”, ha detto Maawad. “Hanno incubi di notte, alcuni bagnano il letto”.
Durante le sue sedute, Maawad usa la narrazione di storie per spiegare ai bambini che, mentre eventi traumatici come l’esplosione possono accadere, è qualcosa che ormai appartiene al passato e insegna loro come cercare di superare le loro paure.
Ha detto che il livello di sofferenza può essere particolarmente alto tra i rifugiati siriani che sono fuggiti dal conflitto in patria e sono venuti in Libano per trovare sicurezza. “Sono stati [tra] i più colpiti da questa situazione, perché l’evento attuale ha fatto scattare i ricordi delle loro precedenti esperienze”, ha spiegato Maawad.
Anche se la stessa Manar è nata in Libano e non ha esperienza del conflitto in Siria, la sua giovane età rappresenta di per sé una sfida terapeutica.
“Quando una persona sperimenta eventi traumatici in giovane età, è più difficile da trattare perché si è verificata in un’età in cui non riesce ad esprimersi bene”, ha detto Maawad. “Per questo motivo, cerchiamo di far sì che [Manar] si esprima attraverso il disegno, il gioco, a volte usiamo anche la musica”.
Fahima dice che dopo solo tre sedute ha notato un cambiamento positivo in Manar quando è con la psicologa, ma che ritorna ancora al suo comportamento spaventato non appena tornano a casa.
“La dottoressa la fa sentire al sicuro e le ricorda che l’esplosione è nel passato e che non si ripeterà, dice Fahima. “Ma sento che quando torna a casa si dimentica di quello che è successo [dalla dottoressa] e torna a comportarsi come prima”.
Maawad ha detto che è difficile prevedere quanto durerà il processo di guarigione, ma il fatto che Fahima abbia cercato aiuto prontamente renderà tutto più facile.
“Se i problemi di salute mentale non vengono trattati, cresceranno insieme alla persona e diventerà più difficile [superarli]”, ha detto. “A seconda delle risposte [di Manar] e di come i genitori affrontano la situazione… le cose richiedono tempo, non possiamo stabilire quanto tempo ci vorrà. Ma lei ne trarrà sicuramente beneficio”.
“Quando vedo un terapeuta, sento che c’è speranza”.
Mentre Manar è stata indirizzata direttamente a una professionista della salute mentale, molti rifugiati sono meno fortunati. I bisogni psicologici dei rifugiati spesso superano di gran lunga le capacità del sistema di salute mentale nei paesi ospitanti, compreso il Libano.
In risposta a questa situazione, l’UNHCR e i suoi partner hanno adottato altri approcci per cercare di aumentare il numero di persone che possono aiutare, ad esempio formando reti di rifugiati per lavorare come volontari per la comunità. Sono in grado di fornire un sostegno emotivo di base agli altri e di indirizzare i casi più gravi per ulteriori cure quando necessario.
Nonostante si definisca addolorata dal cambiamento di Manar, Fahima ha detto di essere grata per l’opportunità datale di fornire a sua figlia un aiuto professionale, e di essere in cerca di aiuto per il trauma che anche lei ha subito. Allo stesso tempo, rigetta l’idea di qualsiasi stigma percepito intorno alla ricerca di aiuto per problemi di salute mentale.
“Il dolore per mio figlio e la situazione in Siria, e ora, con la situazione di Manar, mi ha profondamente cambiata. A volte non dormo la notte”, ha detto Fahima. “Quando vedo un terapeuta, sento che c’è speranza. Sento che migliora la nostra situazione”.
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