Un’iniziativa italiana offre a studenti rifugiati residenti in Etiopia la possibilità di realizzare un sogno: proseguire gli studi accademici.
C’è solo una parola per descrivere come si sente oggi Mohtas Anwar Modier: pieno di gioia.
Il ventottenne rifugiato sudanese è arrivato oggi in Italia per proseguire gli studi. Grazie a una borsa di studio ottenuta nell’ambito del progetto Corridoi Universitari per Studenti Rifugiati – University Corridors for Refugees Project, UNICORE 2.0 – potrà infatti seguire un Master in Innovazione Digitale e Sostenibilità presso la prestigiosa Università Luiss a Roma.
UNICORE è un’iniziativa promossa da 10 università italiane con il supporto dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), del Ministero degli Affari Esteri italiano e di altri partner, che offre a studenti rifugiati l’opportunità di accedere all’istruzione universitaria.
Per Mohtas questo è un sogno che si avvera – un sogno fortemente sostenuto dal padre con parole incoraggianti: “Torna a scuola”.
Essendo cresciuto sui Monti Nuba in Sudan, Mohtas non ha potuto iniziare la scuola prima dei 10 anni. Le lezioni inoltre erano spesso sospese a causa di attacchi armati e spari – segni che la guerra civile si stava avvicinando al suo villaggio.
“Quando si sentivano gli spari era difficile concentrarsi sullo studio”, spiega il ventottenne.
Ricorda come nel 2004 il suo villaggio, situato nella provincia del Kordofan meridionale, fu attaccato da alcuni uomini armati per rubare il bestiame della sua famiglia. Ci racconta anche che, in un successivo attacco, i figli di un vicino vennero rapiti, e in un’altra occasione ancora una donna rimase mutilata facendo esplodere, accidentalmente, una bomba nel suo giardino.
“Tutto questo non era affatto normale, ma noi lo vedevamo così”, aggiunge.
Anni dopo, Mohtas si sarebbe reso conto che senza il continuo incoraggiamento del padre non sarebbe riuscito a portare avanti gli studi in circostanze così estreme.
Il difficile viaggio di Mohtas nel corso degli anni, prima in Sudan e poi come rifugiato in Etiopia, ha finalmente dato i suoi frutti, realizzando il suo mantra personale che l’ha sempre sostenuto: l’istruzione è la chiave del successo.
Secondo il recente rapporto sull’istruzione dell’UNHCR, intitolato “Coming Together for Refugee Education”, solo il 3% dei rifugiati è iscritto a corsi di istruzione superiore, mentre a livello globale le iscrizioni di studenti non rifugiati sono pari al 37%.
Per ogni studente laurearsi è sempre motivo di gioia, ma per i rifugiati come Mohtas è una vittoria contro ogni ostacolo e un’ispirazione per gli altri.
Ai suoi studenti Mohtas parla spesso delle esperienze vissute: la povertà, la fame, il conflitto e la fuga, ma anche l’essere sopravvissuto e la sua determinazione ad avere successo.
“Incoraggio sempre i miei studenti a non trascurare lo studio, perché i libri hanno il potere di guarire le ferite del cuore e un giorno ti aiuteranno a diventare qualcuno” sostiene.
Conclusa la scuola primaria nel 2007, Mothas ha iniziato le superiori, ma dopo un anno ha smesso di frequentare a causa della chiusura della scuola per mancanza di fondi.
“Mio padre ha venduto qualche capo di bestiame al mercato per pagarmi le tasse scolastiche in un altro istituto” spiega, aggiungendo di essersi trasferito a Khartoum da uno zio.
Ma all’età di 19 anni è dovuto fuggire in Etiopia a seguito delle discriminazioni che ha iniziato a subire da parte delle autorità scolastiche insieme ad altri studenti provenienti dai Monti Nuba.
Turbato dall’evolversi degli eventi e impossibilitato a tornare a casa poiché le strade erano inaccessibili, ha attraversato il confine con l’Etiopia, trovando rifugio nel campo di Sherkole, uno tra i primi fondati nel Paese e in grado di ospitare circa 10.000 rifugiati.
Si è iscritto in una scuola secondaria a circa 10 chilometri dal campo e ogni mattina si svegliava alle 4 o alle 5 per poter essere in classe alle 7.
“Andavo a scuola a stomaco vuoto”, prosegue. “Non era facile camminare per circa due ore, ma ce l’ho fatta”.
Tale era la determinazione e la perseveranza di Mohtas nel diventare uno studente modello, che è riuscito a ottenere una borsa di studio all’Università di Gambella, presso la Facoltà di Agraria.
Dopo la laurea, conseguita nel 2017, ha lavorato per un anno come insegnante di scuola elementare nel campo di Bambasi, dopodichè è ritornato a quello di Sherkole.
Anche se tutte le lezioni nel campo sono state sospese a causa della pandemia di COVID-19, Mohtas rimane pragmatico e continua a lavorare con i suoi studenti e la sua comunità. Ha trovato una stanza spaziosa dove alcuni dei suoi alunni possono seguire le lezioni a turno, nel rispetto del distanziamento sociale.
“Niente può impedirmi di lavorare per la comunità”, afferma. “Prima della mia partenza cercherò di fare tutto il possibile”.
Il rapporto UNHCR sull’istruzione ben evidenzia l’importanza di ogni azione per garantire ai rifugiati il futuro che meritano. Se si vogliono aumentare le possibilità di accesso dei rifugiati all’istruzione di ogni ordine e grado, portandole al pari delle medie globali, è necessario uno sforzo integrato e coordinato da parte di numerosi partner. Questo prevede, tra le altre cose, l’offerta di borse di studio e altre modalità che consentano agli studenti rifugiati di accedere all’istruzione superiore, e forme di collaborazione con università e istituzioni tecniche e professionali nei Paesi ospitanti.
“È grazie a un’istruzione superiore nei Paesi terzi e a iniziative come UNICORE 2.0 che i giovani rifugiati come Mohtas, che vivono e studiano in Etiopia, possono accedere a opportunità che cambieranno la loro vita”, spiega Jolanda van Dijk, capo dell’ufficio dell’UNHCR ad Assosa.
Aggiunge che questi progetti consentono ai rifugiati di essere parte attiva della loro vita accademica e di dare un contributo migliore alle comunità ospitanti.
“I rifugiati hanno talenti, valori e punti di forza che possono essere ulteriormente sviluppati e migliorati, a vantaggio loro e delle comunità che li accolgono”, aggiunge van Dijk.
Mohtas si sta affacciando a un nuovo capitolo della sua vita, pieno di speranza e inesplorato.
“Vorrei fare volontariato nell’area di mia competenza per poter ripagare, in qualche modo, l’aiuto ricevuto dall’Italia e dal popolo italiano”, dice.
Informazioni supplementari a cura di Catherine Wachiaya a Nairobi, Kenya
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