Scampato alla morte nel tentativo di trovare sicurezza, un adolescente sudanese si è visto costretto a rischiare la vita in mare a causa dell’insicurezza crescente e delle restrizioni dovute alla pandemia da COVID-19 in Libia.
Da prima che potesse ricordare, la vita del diciottenne Siddik* è stata plasmata dalla violenza, dalla sofferenza e dalla fuga. Era molto piccolo quando i combattimenti nella regione del Darfur in Sudan hanno costretto la sua famiglia a fuggire, e aveva solo sette anni quando ha perso la madre a causa del conflitto.
Da bambino studiava nella speranza di frequentare l’università e di poter provvedere ai suoi tre fratelli e al padre cieco. Ma quando dei gruppi armati sono venuti nella sua scuola per reclutare a forza gli studenti per farli combattere, è corso a casa lasciando definitivamente la scuola.
Alla disperata ricerca di un modo per mettere il cibo sulla tavola della famiglia, Siddik ha lasciato il Darfur all’età di 16 anni. Aveva poche banconote in tasca e un unico obiettivo: trovare rapidamente un lavoro e spedire i soldi a casa.
“Volevo andarmene per poter provvedere a loro, in modo che potessero ricevere un’istruzione diversa dalla mia”, ha detto Siddik dei suoi fratelli minori. “Voglio che abbiano una vita migliore di quella che ho avuto io”.
Il suo viaggio lo ha portato in Libia, dove è stato colpito da una nuova tragedia. Poco dopo il suo arrivo nel Paese, Siddik è stato arrestato e nel luglio dello scorso anno si trovava nel centro di detenzione di Tajoura quando l’hangar dove viveva con più di 150 altri uomini è stato colpito da una serie di attacchi aerei. Molti dei suoi amici sono stati uccisi o feriti. In totale, l’attacco ha causato più di 50 morti.
Dopo mesi di tentativi infruttuosi per guadagnarsi da vivere a Tripoli e ancora determinato a migliorare la propria vita e quella della sua famiglia, Siddik ha risparmiato abbastanza soldi da rischiare la pericolosa traversata verso l’Europa.
Più di 46.000 rifugiati e richiedenti asilo sono attualmente registrati in Libia, dove molti si trovano ad affrontare insicurezza, instabilità, terribili condizioni economiche e la minaccia di sfruttamento e abusi da parte di bande criminali e gruppi armati.
Oltre alla forte escalation dei combattimenti del mese scorso, il Paese ha registrato anche i primi casi confermati di COVID-19. Ciò ha portato a restrizioni più severe dei movimenti, rendendo quasi impossibile trovare lavoro per i rifugiati e i richiedenti asilo, mentre il costo del cibo e dell’affitto è aumentato.
Si ritiene che questa combinazione di fattori spinga maggiormente a rischiare la vita nel Mediterraneo. Nei primi quattro mesi di quest’anno, la Guardia Costiera Libica ha recuperato 3.078 rifugiati e migranti in mare, contro i 1.126 dello stesso periodo dell’anno scorso.
Una notte di qualche settimana fa, Siddik si è trovato a tremare nell’oscurità, mentre il fragile gommone su cui era salito con più di 70 persone veniva gettato in mare. Per giorni si sono aggrappati alla vita, disidratati, affamati e spaventati.
Dopo cinque giorni in mare una nave è venuta in loro aiuto, ma la loro euforia si è presto trasformata in disperazione quando si sono resi conto che era una nave della Guardia Costiera libica che li avrebbe riportati a Tripoli insieme a più di 150 rifugiati e migranti già a bordo che erano stati prelevati da altri tre gommoni quella stessa mattina.
Quando finalmente la nave è attraccata a Tripoli, non sono stati autorizzati a sbarcare immediatamente e hanno dovuto aspettare sulla nave per diverse ore. Il personale dell’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, insieme al suo partner International Rescue Committee, ha distribuito acqua e fornito assistenza medica d’emergenza per i casi più urgenti. Ma al calar della notte, erano tutti ancora sulla nave.
Nelle ore successive, Siddik si è trovato ancora una volta coinvolto nella violenza. “Al porto ci sono stati terribili bombardamenti di notte. Abbiamo cercato di fuggire ma non ci siamo riusciti”, ha spiegato.
Alla fine sono stati portati in una struttura vicina per essere trasferiti la mattina dopo in un centro di detenzione. Ma Siddik era determinato a tutti i costi ad evitare di tornare in detenzione. Durante un breve momento in cui sono rimasti senza sorveglianza, lui e altri hanno usato le ultime energie rimaste per scappare.
Ora Siddik vive con molti altri in un’unica stanza nella città vecchia di Tripoli, ed è pessimista su ciò che il futuro gli riserva.
“La Libia è un vicolo cieco per i rifugiati e i richiedenti asilo. Ho lasciato il mio Paese in cerca di protezione e per dare un’istruzione ai miei fratelli e aiutare mio padre, ma in questo Paese non c’è futuro per noi”, ha detto, sconsolato, mentre aspettava di ricevere assistenza in contanti presso l’ufficio di registrazione dell’UNHCR operativo a Sarraj, a Tripoli, che lo aiuta a coprire le spese per l’affitto e il cibo.
Molti rifugiati e richiedenti asilo si sono aggrappati alla speranza di poter ottenere la priorità per il reinsediamento sui voli di evacuazione dalla Libia. Tuttavia, il numero di posti di reinsediamento disponibili è sufficiente per una minuscola minoranza di rifugiati sia in Libia che in tutto il mondo, e anche questa debole speranza si è spenta quando i Paesi hanno chiuso i loro confini per combattere il coronavirus.
“Non possiamo tornare nei nostri paesi, ma non possiamo nemmeno restare qui”, ha detto Siddik. “In circostanze normali cercherei lavoro e mi iscriverei a scuola, ma attualmente anche i nostri vicini libici sono sempre più disperati per il peggioramento della situazione nel loro Paese”.
Il capo della missione dell’UNHCR in Libia, Jean-Paul Cavalieri, ha riconosciuto che il peggioramento della situazione in Libia sta costringendo molti a fare scelte drastiche.
“La combinazione di COVID-19 e le relative restrizioni agli spostamenti in corso, insieme all’aggravarsi del conflitto, senza alcuna pausa umanitaria, porrà molti altri in situazioni di povertà sempre più profonda e con poco sostegno per sopravvivere”, ha detto Cavalieri.
In mezzo al peggioramento delle condizioni di sicurezza, così come alle restrizioni agli spostamenti dovute al COVID-19 , l’UNHCR ha fornito assistenza d’emergenza a circa 3.500 rifugiati e sfollati interni libici durante le ultime due settimane.
Il pacchetto di assistenza ha aiutato circa 1.600 rifugiati urbani, più di 700 rifugiati detenuti e quasi 1.500 sfollati interni in diversi luoghi in Libia, e comprendeva un mese di cibo e kit igienici.
“Stiamo facendo quello che possiamo. L’UNHCR sta effettuando un maggior numero di distribuzioni di emergenza nel periodo del Ramadan. Tuttavia, la disperazione spingerà probabilmente un numero maggiore di rifugiati a rischiare la vita, intraprendendo viaggi irregolari e pericolosi via mare”.
Condividi su Facebook Condividi su Twitter