Le difficoltà finanziarie della sua famiglia, costretta a fuggire dal conflitto in Siria, hanno fatto sì che Naamat, 11 anni, debba occuparsi dei fratelli minori e di molte faccende domestiche. Ma la sua resilienza le ha permesso di eccellere a scuola.
Ogni mattina, dopo che sua madre esce per andare a lavoro, Naamat cambia il pannolino a suo fratello Ibrahim e gli dà un biberon di latte in polvere. Poi prepara una semplice colazione a base di pane, olio e za’atar al timo da dividere con gli altri due fratelli minori prima di pulire, fare gli zaini e andare a prendere lo scuolabus, dopo aver lasciato Ibrahim con un vicino.
“Naamat ha solo 11 anni, ma sta vivendo la vita di una trentenne”, dice la madre Fatima. “E’ a causa della nostra situazione”, risponde Naamat. “Devo sostenere i miei genitori e i miei fratelli. Non hanno nessun altro che me”.
Sono trascorsi nove anni dall’inizio del conflitto in Siria, un periodo di tempo che grava sulla vita di milioni di siriani che hanno perso i loro cari, visto le loro case distrutte, le proprie famiglie costrette a fuggire e le loro vite messe in attesa. Il conflitto in Siria ha costretto Naamat, undicenne di Homs rifugiata in Giordania, ad assumersi responsabilità di cui una bambina non dovrebbe farsi carico.
Sua mamma Fatima guadagna 5 dinari giordani (7 dollari) per mezza giornata passata a pulire le case, mentre suo padre Mahmoud non può lavorare o occuparsi dei figli a causa dei problemi fisici e psicologici dovuti alle sue esperienze in Siria. Di conseguenza, è Naamat ad occuparsi di molte faccende domestiche.
Mahmoud è stato arrestato nel 2011 dopo le preghiere del venerdì. Fatima non ha saputo più nulla del destino di suo marito, e nel 2013 è stata costretta a fuggire dai combattimenti a Homs con Naamat e suo fratello minore Fahed, prima nella provincia di Deraa in Siria e poi in Giordania.
“Abbiamo camminato dal tramonto all’alba”, ha ricordato Fatima. “È stata la notte peggiore di tutta la mia vita. Era buio e potevamo sentire il rumore dei proiettili in lontananza. Faceva molto freddo e c’era la neve, e non c’era modo di stare al caldo”.
Naamat ricorda ancora il disorientamento che ha provato a soli quattro anni quando è arrivata nel campo di Za’atari, nel nord della Giordania, insieme a decine di altri rifugiati siriani. “Sono rimasta sorpresa perché vivevo in una casa, e siamo venuti a vivere in una tenda. Ero davvero scioccata. Eravamo al caldo, e all’improvviso mi sono ritrovata in una tenda e avevo freddo”.
Fatima si è trasferita con i suoi figli nella capitale della Giordania, Amman. All’improvviso, circa un anno dopo, ha ritrovato suo marito. “Hanno bussato alla porta e me lo sono trovato davanti. Pensavo fosse morto”.
Oggi, sette anni dopo il loro arrivo in Giordania, riescono ancora a sopravvivere a malapena. L’appartamento malandato vicino al centro di Amman che affittano per 100 dinari (140 dollari) al mese è quasi completamente privo di mobili, con materassi sul pavimento per sedersi e dormire. Raramente in cucina c’è una quantità di cibo che possa durare per più di un giorno.
I guadagni di Fatima non sono neanche lontanamente sufficienti per garantire l’essenziale alla sua famiglia. Ma grazie ai 140 dinari (197 dollari) in contanti che riceve mensilmente dall’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, insieme ai buoni pasto del Programma Alimentare Mondiale, è in grado di coprire almeno l’affitto, dar da mangiare ai suoi figli e pagare lo scuolabus.
La maggior parte degli oltre 5,5 milioni di rifugiati siriani registrati che sono ospitati nei principali paesi di accoglienza della regione – Turchia, Libano, Giordania, Iraq ed Egitto – vive la stessa situazione.
La quota di rifugiati che vive al di sotto della soglia di povertà supera il 60% in molti di questi paesi, mentre più di un terzo dei bambini rifugiati non va a scuola. La crisi prolungata ha anche messo a dura prova le risorse delle comunità locali che li hanno generosamente ospitati.
La situazione precaria in cui versano milioni di rifugiati dopo nove anni di conflitto è il motivo dietro i casi di matrimoni precoci e di lavoro minorile, così come del fatto che molti bambini come Naamat si fanno carico dei doveri domestici.
Eppure, nonostante la responsabilità che le venga attribuita dalla loro situazione e la consapevolezza che non sia una situazione normale per una bambina di 11 anni, la tranquilla determinazione di Naamat l’ha aiutata a eccellere a scuola e ad essere la prima della sua classe in molte materie.
“Amo molto l’istruzione, perché sento che mi darà un bel futuro”, dice. “Ho perso parte della mia infanzia, ma la sto recuperando andando a scuola e costruendo il mio futuro. Non l’ho ancora persa e non mi dispererò”.
È questa speranza, mantenuta viva dal fatto che la Giordania ha aperto le sue scuole e le sue comunità alle persone in fuga dal conflitto in Siria, che fa andare avanti Naamat e la sua famiglia. Dopo nove anni, le comunità ospitanti continuano a mostrare una notevole solidarietà.
La resilienza e l’ottimismo di Naamat fanno sperare a Fatima che alla fine supereranno la loro attuale situazione.
“La vita è stata molto dura per me e per la mia famiglia. Abbiamo affrontato molte sfide: il dolore della guerra e il dolore di lasciarci i nostri cari alle spalle, la situazione finanziaria, diventare rifugiati – tante cose”, dice Fatima. “Ma lei ha una personalità molto forte. Non si sente mai distrutta o vulnerabile”.
Quel pomeriggio, quando Fatima è tornata dal lavoro e ha ripreso in mano la gestione della casa, Naamat esce a giocare con due amici del quartiere.
Mentre saltano a turno la corda, facendo a gara per superarsi a vicenda, l’espressione seria che Naamat ha avuto per la maggior parte della giornata scompare, sostituita per un attimo da un sorriso di pura gioia.
Dona ora per aiutare i rifugiati come Naamat e la sua famiglia.
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