“Non riesco a ricordare l’ultima volta che la mia vita è stata così bella”, dice Nakout. Dopo anni di abusi, una mamma ora al sicuro in Finlandia sogna di riunirsi con i suoi figli che non la credevano più in vita.
In Finlandia, Nakout si siede al tavolo da cucina con la penna in mano, pensando a cosa scrivere alla figlia che non vede da più di 15 anni. Il suo telefono è accanto a lei, per aiutarla a controllare l’ortografia. Sua figlia e i due figli sono in Uganda, a 7.000 chilometri di distanza.
“Ciao, mia adorabile unica figlia”, scrive con l’inchiostro blu. “Sii forte, la mamma ti vuole tanto bene. Devi parlare con la mamma, per favore”.
Nakout una volta viveva con suo marito Akollo e tre figli piccoli alla periferia di Soroti, una piccola e tranquilla cittadina dell’Uganda orientale.
Akollo aveva costruito la loro casa con fango e bastoni, con un tetto di ferro ondulato. Litigavano per il calcio o per le solite cose di casa, ma la vita era bella.
Guardare la partita dell’Arsenal è stato un punto culminante della sua “vecchia” vita.
Quando aveva soldi a disposizione, Nakout indossava la sua preziosa maglia dell’Arsenal e andava al bar locale per vedere una partita con gli altri tifosi davanti a qualche birra.
Una notte dell’ottobre 2003, verso mezzanotte, la porta della loro piccola casa fu improvvisamente sfondata a calci da uomini armati di uno dei gruppi ribelli più brutali dell’Africa, l’Esercito di Resistenza del Signore (Lord’s Resistance Army – LRA).
I soldati hanno legato le braccia di Akollo dietro la schiena. Lo hanno poi giustiziato con un machete.
La figlia di Nakout, Ruth, che teneva sulla schiena, le è stata strappata e gettata contro il muro di casa. I suoi due figli, Baker e Joseph, si erano nascosti sotto il letto. Nakout è stata fatta marciare nell’oscurità. La sua vita si è fermata.
Joseph Kony ha fondato l’LRA nel 1986 con l’obiettivo dichiarato di governare l’Uganda secondo la sua versione dei Dieci Comandamenti della Bibbia.
In realtà, il gruppo era poco più di un gruppo di banditi predoni con un’inclinazione alla crudeltà e la reputazione di aver rapito decine di migliaia di bambini.
Nakout ha trascorso la dozzina d’anni successivi come schiava sessuale, vagando per le remote terre di confine dell’Africa centrale.
Senza poter contattare la sua famiglia, Nakout ha scoperto che l’unico modo per sopravvivere agli abusi sessuali e alle lunghe marce era quello di mettere a tacere le sue emozioni, congelarle e abbandonare il pensiero di rivedere i suoi figli.
In diverse occasioni è stata costretta a partecipare a cerimonie occulte, parte centrale del macabro misticismo di Kony.
Se si fosse rifiutata, sarebbe stata uccisa. L’ultraviolenza, gli abusi sessuali, le aggressioni e la morte sono diventati parte della sua vita quotidiana.
Durante la sua schiavitù, è stata testimone di brutali attacchi alle vittime dell’LRA e lei stessa si è ammalata.
E’ diventata uno dei giochi preferiti di Kony, l’enigmatico leader del gruppo, e alla fine gli ha dato un figlio. Kony ha chiamato il bambino Joseph Kony, come le decine di altri bambini da lui generati. Poco dopo la sua nascita, suo figlio le è stato portato via. Non lo ha visto mai più.
“Sono stata rapita quando avevi sette mesi”, scrive Nakout alla figlia. “Tenuta in ostaggio nella foresta per 12 anni, sono riuscita a fuggire in Europa e ora sono al sicuro, vivo in Finlandia”.
Dopo aver ottenuto la residenza in aprile, Nakout si è recentemente trasferita nel suo appartamento personale a Vaasa, una piccola città sulla costa occidentale della Finlandia. Ha comprato un paio di divani e un letto per arredarlo.
Dopo tanto tempo in viaggio, si sta sistemando e si sta facendo degli amici.
Vaasa è casa di centinaia di persone che fuggite da guerre, conflitti e persecuzioni in Africa negli ultimi decenni.
A un chilometro e mezzo dalla strada c’è una chiesa luterana dove padre Stephanos, un rifugiato dei monti Nuba in Sudan, tiene una funzione. Ogni domenica, Nakout partecipa, canta e ondeggia con la congregazione come una volta nella sua chiesa locale in Uganda. “Mi ricorda quei giorni, i giorni felici… prima”, dice.
Di fronte alla chiesa c’è un centro comunitario dove Nakout insegna inglese a un gruppo di donne rifugiate, rivelando la sua nuova forza e assertività.
“Esercitatevi, non siate timide. Qui non c’è nessuno che sia perfetto”, rimprovera affettuosamente le sue allieve. Dopo si dividono torta e caffè, serviti con delle risatine.
La maggior parte delle mattine fa una lunga corsa attraverso i boschi di betulle argentate e si unisce agli amici per il frisbee golf o disc golf, un gioco popolare in Finlandia durante le lunghe serate estive.
“Mi hanno sempre battuto perché sono ancora nuova nel gioco, ma non mi arrenderò. Prometto loro che la prossima estate sarò io a batterli”, ha detto passeggiando per l’arboreto dopo una partita. “Non mi arrendo, non lo farò mai, mai. Non mi arrenderò mai, qualunque cosa accada”.
Dopo essere fuggita dall’LRA, Nakout è finalmente arrivata in Grecia, ma le condizioni difficili non sono riuscite a migliorare la sua salute fisica e mentale. Tutto ciò è cambiato quando è arrivata in Finlandia. La sua vita è finalmente stabile e la sua salute sta migliorando. Ma il suo viaggio è tutt’altro che finito.
Non molto tempo dopo il suo arrivo in Europa, Nakout è riuscita ad entrare in contatto con i suoi figli, i fratelli maggiori di Ruth.
Erano increduli. Non ci hanno creduto finché non hanno potuto vederla in carne e ossa.
Dopo lo shock iniziale, Baker e Joseph hanno iniziato il processo di ricostruire la loro famiglia per telefono. Parlare con loro una volta alla settimana è sia catartico che doloroso.
Ogni conversazione rafforza la fiducia tra Nakout e i suoi figli ma anche la sua angoscia nel sentire di averli delusi. Soffre del senso di colpa dei sopravvissuti e condivide il loro senso di abbandono.
“So che ne avete passate tante nella vita… Non sono stata una buona madre per tutti voi, figli miei”, scrive attentamente sulla spessa carta rosa. “Non volevo che andasse così, ma vi prometto che ci incontreremo di nuovo”.
Nakout sta scrivendo una lettera perché sua figlia si rifiuta ancora di rispondere al telefono.
Per Ruth, sua madre è morta 15 anni fa. Questa donna che è emersa dalla giungla dell’Africa centrale è un’altra persona. In qualche modo, ha ragione. La vecchia Nakout se n’è andata.
Ma Nakout spera che la lettera inizi a spiegare dove è stata, un catalizzatore che possa permettere a Ruth di capire e forse di perdonare, e che porti finalmente alla riconciliazione.
“Prometto che ci incontreremo di nuovo”, scrive. “La tua mamma è ancora viva”.
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