Quella dei Fulani è una popolazione di pastori che da tempo vive in Costa d’Avorio, ma quasi tutti sono a rischio di apolidia.
Nella calura pomeridiana, una donna anziana si sporge in avanti in una stanza buia.
“Le persone mi considerano una straniera. Non va per niente bene, ma cosa si può fare?”
Aminata Sidibé calcola la sua età a partire dall’anno del suo matrimonio, che è anche l’anno dell’indipendenza della Costa d’Avorio: il 1960. Afferma che a quell’epoca aveva 15 anni, dunque oggi ne avrebbe 74. Ma potrebbe essere più anziana.
Pur non sapendo esattamente quanti anni ha, Aminata sa che, come dice lei stessa, “sono nata qui, mi sono sposata qui, i miei figli sono nati qui, come pure i miei nipoti e i miei bis-nipoti.”
Aminata Sidibé e la sua famiglia sono fulani, un gruppo etnico di pastori diffuso in una dozzina di paesi in Africa. Nonostante sia la matriarca di una famiglia estesa di 45 persone, ben radicata in Costa d’Avorio da generazioni, agli occhi del paese in cui vive lei e la sua famiglia sono tutti stranieri.
Il problema, per la famiglia di Aminata, è che la Costa d’Avorio concede la cittadinanza solamente attraverso il diritto di sangue: almeno un genitore, dunque, dev’essere ivoriano. Non è sufficiente essere nati in Costa d’Avorio. Ufficialmente, Aminata e la sua famiglia sono “Burkinabé”, discendenti di persone originarie del vicino Burkina Faso, e tale distinzione li espone al rischio di apolidia perché, essendo lontani dal paese da molte generazioni, il Burkina Faso potrebbe non riconoscerli come propri cittadini.
“Qui non abbiamo alcuna posizione,” spiega il figlio di Aminata, Seydou Tall, 56 anni. È nato in Costa d’Avorio, ha un certificato di nascita e possiede del bestiame. “Non voglio una carta consolare che dica che sono del Burkina Faso, perché non lo sono. Voglio avere la nazionalità del mio Paese.”
In tutto il mondo, sono milioni le persone prive di nazionalità. Ciò le porta a subire ingiustizie per tutta la vita, e a far fronte a impedimenti che precludono loro l’accesso a diritti fondamentali quali istruzione, assistenza sanitaria, impiego e libertà di movimento.
In Costa d’Avorio, il numero di persone prive di documenti e a rischio di apolidia, come i Fulani, ha assunto proporzioni preoccupanti. La Costa d’Avorio stimava in 700.000 le persone apolidi presenti nel paese alla fine del 2017. Ma si prevede che la mappatura più approfondita attualmente in corso fornirà dati più accurati, evidenziando un più alto numero di persone apolidi o a rischio di apolidia.
Seyoud afferma che con la nazionalità ivoriana i membri della famiglia potrebbero trovare un buon impiego. Ma senza documenti che certifichino la loro nazionalità non possono aspirare a posti di lavoro ufficiali, né aprire un conto in banca od ottenere la patente di guida.
Sono pastori e allevano bestiame, ma non hanno il diritto di acquistare proprietà. Il diritto della famiglia sul terreno dipende unicamente da un accordo privato raggiunto con il vecchio proprietario, ma ciò non comporta alcun diritto legale su quel terreno.
Per la famiglia, la strada verso l’ottenimento della cittadinanza è ancora lunga. Monique Saraka, segretario generale dell’Associazione Ivoriana delle Donne Giuriste (Ivorian Association of Women Jurists), ha fatto visita ai membri della famiglia per fornire consulenza sul loro status.
“Molti Fulani non hanno un’istruzione formale, e hanno paura di interpellare le autorità,” spiega. “La maggior parte di loro non possiede nemmeno un certificato di nascita.”
Saraka afferma inoltre che, sfortunatamente, hanno poche speranze di ottenere la cittadinanza; dovrebbero provare a richiedere la naturalizzazione.
“È un processo molto lungo e lento,” spiega. “Le persone che fanno richiesta aspettano 10 anni, o addirittura di più. E poi c’è il costo. Quindi le persone, soprattutto nelle aree rurali, si scoraggiano e lasciano perdere.”
Con il sostegno dell’UNHCR, l’associazione di Saraka porta avanti la sua campagna dal 2015 per cambiare il sistema. Il primo obiettivo è facilitare l’ottenimento dei documenti più importanti, come i certificati di nascita. Il governo ivoriano sta per far entrare in vigore una legge che per un anno renderà la procedura gratuita. Ma ridurre gli ostacoli all’ottenimento della cittadinanza ivoriana richiederà una campagna molto più lunga. Una legge temporanea che rendeva la naturalizzazione più semplice, infatti, è scaduta nel 2016.
“Speriamo che questa legge venga reintrodotta e aggiunta alla normativa sulla cittadinanza. Queste persone sono qui da quattro generazioni,” afferma Saraka. “È difficile immaginare che possano avere una cittadinanza diversa da quella ivoriana.”
La buona notizia è che, ad eccezione di Aminata che ha perso i suoi documenti dopo la morte del marito, tutti i membri della sua famiglia possiedono certificati di nascita.” Nonostante la strada verso l’ottenimento della cittadinanza sia ancora lunga, i più giovani hanno almeno la possibilità di andare a scuola, e di immaginare un futuro con tutti i benefici che la cittadinanza comporterebbe.
“Mi piace la storia, imparare del passato,” dice Boukary, 15 anni, che ha iniziato ad andare a scuola cinque anni fa. “Vorrei fare il poliziotto. Voglio parlare alle persone, e separare quelle buone da quelle cattive.”
Adiba e Aisha hanno rispettivamente 13 e 12 anni, ed entrambe vogliono diventare insegnanti. Senza documenti che certifichino la nazionalità, però, non potranno andare oltre l’istruzione secondaria.
Nella sua stanza, Aminata sembra rassegnata alla sua situazione, ma anche speranzosa. “Lascio le decisioni sui documenti ai miei figli,” dice. “La gente può dire quello che vuole, non sono mai stata minacciata. Anche se dicono che sono straniera, li perdono. È la volontà di Dio.”
Prevenire e ridurre l’apolidia è parte del mandato dell’UNHCR. Per saperne di più visita il sito: https://www.unhcr.org/stateless-people
Per saperne di più sulla campagna #IBelong per porre fine all’apolidia visita il sito: https://www.unhcr.org/ibelong-campaign-to-end-statelessness
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