A metà dicembre, con un caldo soffocante e un sorprendente cielo azzurro a Boa Vista, nello stato di Roraima in Brasile, Yenni si rifugia all’ombra di una tenda con sua figlia Branyelis, di 7 giorni. Come molti venezuelani in fuga dal loro paese, Yenni è stata costretta ad andarsene perchè non aveva altra scelta. Nella maggior parte dei casi, essere costretti a lasciare la propria casa è un’esperienza violenta e traumatica.
“In Venezuela la situazione peggiorava di giorno in giorno e tutto quello che guadagnavamo lo spendevamo per mangiare. Quello che una persona guadagnava in un mese era sufficiente per mangiare un giorno solo, e dovevamo uscire a cercare cibo continuamente, non era mai abbastanza”.
Questa è la terza volta che Yenni viene a Boa Vista. La prima volta è venuta per lavorare e mettere insieme un po’ di soldi per poter comprare del cibo da portare alla sua famiglia in Venezuela. Yenni è una cuoca e nei fine settimana preparava dolci e decorazioni per feste. Per questo ha lasciato con la nonna i suoi figli Brian, 19 anni, e Claribel, 15 anni, ed è venuta a Boa Vista con sua sorella. L’estenuante viaggio lo ha fatto in autobus e a piedi.
Più di 3 milioni di venezuelani hanno lasciato il loro paese dal 2014 a causa di insicurezza, scarsità di cibo, assenza di assistenza sanitaria e medicine. La maggior parte delle persone in fuga sono famiglie con bambini, donne in stato di gravidanza e anziani.
Dopo aver preso una pausa per portare aiuti alla sua famiglia, Yenni è tornata a Boa Vista, ma questa volta, senza saperlo, era incinta. Ha sopportato il lavoro e il caldo per cinque mesi, ma stava sempre male per la nausea e per i dolori e alla fine ha deciso di tornare a casa. Ma dopo due mesi in Venezuela la situazione era diventata insostenibile.
“La situazione perggiora ogni giorno, non riusciamo a pagare nemmeno un viaggio. In una settimana, lavorando da lunedì a domenica, guadagnavo 1000 bolívar venezuelani, solo che il riso ne costava 1800”.
Ad aggiungersi all’inflazione elevata e alla scarsità di cibo, in Venezuela l’accesso ai servizi sanitari è precario e le medicine non si trovano.
“Per il parto mi hanno chiesto una lista di medicine e di articoli sanitari che non sono riuscita a comprare. Sono venuta in Brasile perchè alcune delle mie vicine di casa hanno partorito senza avere le medicine e gli strumenti necessari, e i loro bambini non sono sopravvissuti”.
Yenni è tornata ma non ha trovato lavoro e non aveva soldi. Ha dovuto vivere in strada con il suo compagno e suo figlio Moises, di tre anni, per due settimane. Poi ha ottenuto un posto in un centro temporaneo sostenuto dall’UNHCR. Oggi lei, il suo compagno, Moises e la piccola appena nata condividono una casa con un’altra famiglia.
Nonostante abbia partorito recentemente, Yenni aspetta con ansia di poter tornare a lavorare e a guadagnare. Come molte madri venezuelane, ha dovuto lasciare i suoi figli più grandi a casa, ma il suo piano è di portarli con sè quanto prima.
“Tutti i miei sforzi sono per la mia famiglia e i miei figli. Due dei miei figli sono in Venezuela con mia madre, Brian, 19 anni, e Claribel, 15. Sto aspettando di poterli portare qui con me. Ho bisogno che mi stiano vicino. E questa è la mia storia finora. E ora ho lei, che è la mia nuova storia che sta iniziando”.
L’UNHCR lavora nel nord del Brasile, dove registra le persone che arrivano, e offre informazioni, riparo e protezione alle famiglie venezuelane vulnerabili, sostenendo il governo federale. Molte volte, l’aiuto che offriamo salva vite. Attualmente, più di 6.000 venezuelani vivono nei centri sostenuti dall’UNHCR e dai suoi partner, come UNFPA, UN Women e Unicef, dove hanno accesso a cibo, acqua potabile, assistenza psico-sociale e spazi sicuri per i bambini.
Condividi su Facebook Condividi su Twitter