Vivere come rifugiata non è mai stato facile per Zahida, 35 anni, che ha allevato i suoi cinque figli da sola dopo la scomparsa del marito, durante la guerra in Siria. In Libano, ha detto, i posti di lavoro erano scarsi e gli affitti molto costosi. Ma anche tornare a casa comporta numerose difficoltà.
“Non ci sono parole per descrivere la distruzione che mi sono trovata di fronte. All’inizio non ho nemmeno riconosciuto la mia città”, ha raccontato Zahida. La sua casa a due piani era ridotta in macerie. Anche le stanze dove lei e i suoi figli sono stati ospitati, a casa di parenti, erano prive di porte e finestre. “Non c’era acqua, né elettricità”, ha aggiunto. “Ci sembrava di essere nell’età della pietra. Ma poco a poco abbiamo migliorato le cose.”
Mercoledì Zahida ha condiviso la storia della sua famiglia con l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati Filippo Grandi, che questa settimana si è recato Siria per valutare le esigenze umanitarie della popolazione.
“La decisione di tornare a casa è difficile e dobbiamo rispettare il fatto che non tutti i rifugiati e non tutti gli sfollati interni prenderanno rapidamente questa decisione”, ha affermato Grandi. “Ma abbiamo il dovere di fornire aiuto a quanti volontariamente scelgono di fare ritorno alle loro case, almeno per i loro bisogni di base e per l’iniziale reinserimento nelle comunità d’origine”.
A Souran, che si trova a una dozzina di chilometri a nord di Hama, nella Siria occidentale, l’Alto Commissario ha trascorso del tempo con diverse famiglie che sono tornate volontariamente a casa dopo essere state sfollate, spesso più volte, per mesi o anni. Ha anche incontrato un gruppo di donne, visitato una scuola elementare che ha riaperto in ottobre e visitato una panetteria aperta a gennaio, il tutto con il sostegno dell’UNHCR, Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, e dei suoi partner.
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Prima del conflitto, Souran ospitava circa 47.000 persone, e molti dei suoi abitanti erano agricoltori, mercanti e lavoratori. Con l’arrivo di gruppi armati nell’agosto 2016, la città si è svuotata nell’arco di una notte. Alcuni residenti hanno cercato rifugio in Turchia o in Libano; gli altri sono fuggiti nella vicina città di Hama o in altre aree della Siria.
Abdelkarim è tra coloro che sono andati a Hama, dove, come ha raccontato all’Alto Commissario, frequenti impennate dei prezzi degli affitti hanno costretto lui e la sua famiglia a spostarsi da un posto all’altro per più di un anno. Tornato a Souran, ha trovato la sua casa invasa dalle macerie e spogliata di ogni cosa di valore. “Non c’erano porte, né rubinetti”, racconta. “Persino i chiodi sono stati rimossi.”
Topi e insetti non davano pace ad Abdelkarim e alla sua famiglia, così si è messo al lavoro per ristrutturare la casa. Ha eretto nuove pareti interne e, con il sostegno dell’UNHCR, ha installato porte e finestre che offrono maggiore sicurezza all’abitazione.
Complessivamente, circa 33.000 persone hanno fatto ritorno a Souran, principalmente coloro che erano fuggiti in aree vicine, in Siria. Almeno un terzo degli ex residenti della città, invece, vive ancora altrove.
Nel 2018, circa 1,4 milioni di siriani sfollati all’interno del proprio paese sono tornati a casa, spesso lasciandosi alle spalle incredibili difficoltà solo per doverne affrontare di nuove. Ciò nonostante, si tratta di una minoranza. Dopo otto anni di violenze e distruzione, milioni di persone rimangono infatti sfollate all’interno della Siria, mentre altri 5,6 milioni di rifugiati vivono ancora nei paesi limitrofi e oltre 1 milione di siriani sono dispersi in altre parti del mondo.
Zahida ha raccontato a all’Alto Commissario Filippo Grandi che ha deciso di tornare a Souran perché i suoi figli stavano pagando un prezzo troppo alto per gli anni di vita in esilio. All’età di 14 anni, suo figlio ha abbandonato la scuola per sostenere la famiglia lavorando nel negozio di un barbiere. Ma i soldi che ha guadagnato non sono stati sufficienti a coprire le tasse scolastiche per le sue sorelle, che erano rimaste indietro con gli studi.
La loro casa a Souran si trovava su un angolo, ma oggi giace in rovina. Una scala di cemento penzola dalle macerie, legata da filo spinato. “Quando l’ho vista, è stato uno dei momenti più tristi della mia vita”, ha detto.
Ora la figlia maggiore di Zahida frequenta i corsi di recupero presso il nuovo centro comunitario, mentre le tre più giovani sono iscritte alla scuola elementare di Al-Shuhada, che è stata riaperta a novembre con il sostegno dell’UNHCR. È una delle cinque scuole al servizio della comunità; altre 15 strutture rimangono chiuse, principalmente a causa di danni strutturali. Poiché così tanti bambini hanno perso mesi o anni di scuola, le aule sono sovraffollate e accolgono studenti le cui età differiscono anche di due o tre anni.
L’Alto Commissario ha inoltre fatto visita all’unico panificio di Souran, aperto a gennaio con il sostegno dell’UNHCR. In precedenza, la città doveva infatti procurarsi il pane da un fornitore distante circa una dozzina di chilometri, mentre il nuovo panificio ha creato 45 nuovi posti di lavoro e abbassato il prezzo del pane del 75%. Da allora il panificio ha assunto ancora più persone e utilizza circa 10 tonnellate di farina al giorno, contribuendo a sfamare più di 12.000 persone.
L’Alto Commissario ha incontrato un gruppo di donne locali che ha aiutato alcuni di coloro che tornavano a Souran a riconquistare un senso di appartenenza alla comunità. “Volevamo tornare nelle nostre case, nella nostra terra”, ha detto una donna all’Alto Commissario. “E volevamo recuperare la nostra dignità. Fuori dal nostro paese non è la stessa cosa.”
“Stiamo ricominciando da zero”, ha aggiunto. “Speriamo di avere abbastanza forza per ricostruire le nostre vite, ma avremo bisogno di aiuto.”
La politica dell’UNHCR è di aiutare coloro che sono sfollati, sia all’interno della Siria che all’estero, e di garantire che i siriani che scelgono volontariamente di tornare a casa ricevano il sostegno umanitario di cui hanno urgente bisogno.
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