A causa della scarsità di cibo e medicinali in Venezuela, i popoli indigeni Warao e Wayúu stanno abbandonando le loro terre per cercare protezione in Brasile e in Colombia.
Quando la figlia più piccola di Eligio Tejerina, leader della comunità indigena, si ammalò di polmonite, le sue condizioni furono aggravate dalla drammatica situazione che il Venezuela stava attraversando.
“Non c’erano medicine, quindi non ha potuto ricevere un trattamento adeguato”, dice il trentatreenne leader della comunità Warao. “Mia figlia di sette mesi è morta così”.
Gli altri cinque figli di Eligio sono sopravvissuti ma erano indeboliti e afflitti dalla fame. Quando non fu più possibile trovare cibo in vendita, partire diventò la loro unica opzione.
“Abbiamo deciso di venire in Brasile perché i nostri bambini stavano morendo di fame. Piangevano dalla fame. Potevamo dar loro un solo pasto al giorno, di notte. Solo una piccola porzione”.
“Abbiamo deciso di venire in Brasile perché i nostri bambini stavano morendo di fame. Piangevano dalla fame”.
La mancanza di cibo e medicinali, l’inflazione alle stelle, i disordini politici e le violenze stanno costringendo centinaia di migliaia di venezuelani ad abbandonare la loro patria e cercare rifugio all’estero.
Il peggioramento della situazione nel paese spinge un numero crescente di indigeni come Tejerina e la sua famiglia ad attraversare i confini per cercare assistenza umanitaria e protezione in Brasile e Colombia.
Il popolo dei Warao, uno dei due gruppi indigeni principali in Venezuela, viveva già in cattive condizioni a casa, dove le comunità del delta dell’Orinoco sono state colpite da un’epidemia di HIV e decine di bambini Warao sono morti di morbillo.
Negli ultimi mesi centinaia di persone delle comunità indigene hanno camminato verso sud per attraversare il confine con il Brasile. Più di 750 indigeni venezuelani ora vivono in tende nel centro Pintolandia a Boa Vista. Tra di loro c’è l’artigiano trentacinquenne Baudilio Centeno di Tamacuro.
“Siamo arrivati a vivere nella miseria assoluta in Venezuela”, dice. Non riuscendo più a trovare cibo in vendita, Baudilio è fuggito in Brasile con la sua famiglia di otto persone. Qui riesce a sopravvivere facendo cestini e vendendo lattine di alluminio da riciclare a 3 R$ (0,81 US$) al chilo.
La difficile situazione di questa comunità è condivisa da 270.000 Wayúu, il gruppo indigeno più numeroso del Venezuela, le cui terre sono al confine con la Colombia. Con il peggioramento delle condizioni in patria, molti fuggono qui, arrivando disidratati, malnutriti, portando con sè solo i vestiti che indossano, e in alcuni casi in condizioni vicine alla denutrizione. Altri segnalano che gli ospedali in patria erano rimasti senza elettricità e che i loro figli avevano dovuto smettere di andare a scuola a causa dell’interruzione dei servizi di autobus scolastici.
“E’ stato difficile trovare un mezzo di trasporto perchè mia figlia potesse andare a scuola”, dice Kary Gomez, 55 anni, che è tra i Wayúu che hanno attraversato il dipartimento di La Guajira in Colombia.
“Hanno difficoltà ad accedere ai servizi di base a causa della mancanza di documentazione”.
Oltre ai Warao e ai Wayúu, l’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, è a conoscenza di almeno altri due gruppi, i Barí e i Yukpa, che stanno cercando assistenza urgente all’estero, dove affrontano ulteriori difficoltà perché alcuni non parlano altra lingua a parte la propria.
“Costretti a lasciare il Venezuela, le comunità Wayúu, Warao, Barí e Yukpa, tra le altre, hanno difficoltà ad accedere ai servizi di base a causa della mancanza di documentazione”, dice Johanna Reina, assistente senior alla protezione dell’UNHCR in Colombia.
“Tra le difficoltà che affrontano ci sono la perdita di identità, che include la perdita della loro lingua, e un drammatico deterioramento delle loro strutture organizzative”, ha aggiunto.
La maggior parte di coloro che abbandonano il Venezuela per il Brasile e la Colombia ha bisogno di assistenza urgente per documentazione, alloggio, cibo e assistenza sanitaria, e l’UNHCR sta lavorando con i rispettivi governi e organizzazioni partner per soddisfare queste esigenze.
All’inizio di questa settimana un giudice federale nello stato di frontiera di Roraima in Brasile ha sospeso l’ammissione di venezuelani nel paese e ha chiuso temporaneamente il confine, anche se la sentenza è stata annullata dalla Corte Suprema del paese.
Un team dell’UNHCR è rimasto al confine e ha continuato a monitorare la situazione durante la breve chiusura. Ha riferito che circa 210 venezuelani non sono stati in grado di finalizzare le procedure di immigrazione ma non sono stati espulsi. Nessun respingimento ha avuto luogo.
Attraverso il suo ufficio sul campo a Riohacha, la capitale del dipartimento di La Guajira in Colombia, l’UNHCR sta anche lavorando a stretto contatto con le autorità locali e i partner affinchè venga garantito accesso all’educazione ai bambini Wayúu. Nella scuola di Maimajasay, circa 200 bambini Wayúu hanno trovato un ambiente di apprendimento sicuro che nutre e incoraggia le tradizioni indigene, con molte lezioni insegnate nella loro lingua madre, il Wayúunaiki.
Sforzi simili sono stati fatti in Brasile, dove i bambini Warao ricevono lezioni nella loro lingua nel centro di Boa Vista.
“Ancora non sappiamo cosa accadrà in Venezuela. Ciò che conta è che stiamo bene qui “.
“Di solito ci riuniamo per raccontare storie e racconti tradizionali”, afferma Tejerino.
Ci sono almeno 26 gruppi indigeni in Venezuela. Lì la situazione continua a peggiorare, e per questo è necessaria una maggiore assistenza per aiutare coloro che sono stati costretti a fuggire dalle loro terre, e che non vedono alcuna prospettiva di ritorno in tempi brevi.
“Ancora non sappiamo cosa accadrà in Venezuela. Ciò che conta è che stiamo bene qui”, dice Centeno, che non sa se e quando la sua famiglia sarà in grado di tornare a casa. “I nostri bambini possono mangiare e ci sentiamo al sicuro”.
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