Il Camerun accoglie oltre 350.000 rifugiati, e sono in molti a ricevere assistenza dai cittadini, che, nell’offrire quel poco che hanno, sono diventati i primi attori umanitari del paese.
Mentre Laura racconta gli ultimi anni della sua vita, è difficile immaginare un destino più tragico del suo. Quarant’otto anni, vedova camerunense di origine centroafricana, Laura vive in un quartiere popolare di Yaounde, la capitale del Camerun. La sua è stata una vita difficile, costellata di tragedie e lutti che lei ricorda con calma e toccante affabilità, senza alcuna pretenziosità.
Nel 2005, il vuoto lasciato dalla morte del marito è stato riempito dall’arrivo di una madre e delle sue due figlie, rifugiate in fuga dalle violenze nella Repubblica Centrafricana (RCA), loro paese d’origine. Anche la donna era vedova: aveva perso il marito, soldato, durante i combattimenti. All’epoca, non era a conoscenza di essere sieropositiva ed è morta due anni dopo. Laura ha adottato entrambe le bambine, anch’esse sieropositive.
“Se solo avessimo saputo prima della loro malattia, avremmo potuto salvare la più piccola” dice Laura.
Il 6 giugno 2016, le condizioni di Rose, la più piccola, si aggravano. Laura la porta nel vicino centro medico: “Il dottore ha capito subito. Mi ha detto di riportarla a casa con me. È morta alle 4 del mattino tra le mie braccia, proprio qui” dice a bassa voce, indicando la sua camera da letto.
Le fotografie di Rose sono appese alla parete del piccolo soggiorno. Il tempo e l’umidità le hanno ingiallite, ma non hanno cancellato il sorriso della ragazza, morta a 14 anni. Grazie ai vicini e al parroco, Laura ha potuto acquistare una bara. Ma non avendo abbastanza soldi per offrirle una sepoltura adeguata, l’ha seppellita fuori città, “dove non si paga”.
La più grande, che tra poco compirà 18 anni, continua a ricevere le cure sanitarie. “Nessuno all’epoca sapeva della sua malattia” spiega la madre adottiva. È una ragazza forte e piena di energia; frequenta le lezioni in un istituto privato nelle vicinanze, di cui Laura fatica a sostenerne i costi. “Ma ne vale la pena” dice. “Le piace leggere e scrivere e vuole diventare giornalista”. Per Laura, si tratta semplicemente di dare un futuro alla figlia adottiva.
“Dovevamo aiutare i rifugiati dell’Africa centrale, e così ho fatto”.
Come Laura, molti camerunensi si sono offerti di aiutare i rifugiati senza chiedere aiuti o aspettarsi nulla in cambio. Nell’offrire quel poco che avevano, sono diventati i primi attori umanitari del paese.
“In chiesa ci è stato detto che dovevamo aiutare i rifugiati dell’Africa centrale, e così ho fatto” spiega Martin, senza togliere lo sguardo dalla strada mentre guida il suo taxi giallo per le strade affollate e gli ingorghi di Yaoundé. Martin conosce la città come il palmo della sua mano: sono vent’anni che lavora come taxista in cambio di un misero salario: “Non è molto e la vita non è sempre facile, ma mi permette di mantenere la mia famiglia”.
Nel 2014 Martin non ha esitato nemmeno un attimo quando la sua Chiesa gli chiesto di prendersi cura di Céline, una ragazzina di 13 anni, orfana a causa del conflitto nella RCA.
Due anni dopo, con il sostegno dell’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, Céline è stata trasferita in Canada, dove ora vive e studia.
“Ogni tanto ci sentiamo al telefono. Sarebbe bello avere uno smartphone, così potremmo scambiarci anche delle foto. A volte, amici della RCA ce ne mandano qualcuna: è meglio di niente” dice sorridendo, prima che la sua voce calma venga soffocata dal rumore del traffico.
“Quando uno straniero viene a casa tua e dice Salaam, non chiudi la porta”
Una sera del 2014, a Douala, la capitale economica del paese, una donna bussa alla porta di El Hadj Ahmadou Dandjouma, un noto imprenditore camerunense. Ahmadou non la conosce, ma scopre che è una lontana cugina di sua moglie. È accompagnata da un centinaio di donne e bambini, tutti rifugiati centrafricani, recentemente arrivati dall’aeroporto, che non è lontano da casa sua. Apre la porta e li ospita per due interi anni. Vivono nel suo cortile, nel suo salotto, nel suo giardino e nella sua cucina. Per sfamarli, Ahmadou uccide le poche bestie che possiede. I figli lo aiutano: “Tutti hanno avuto cibo a sufficienza, tre volte al giorno per due anni! Mi è costato una fortuna, ma è così che una famiglia cresce” dice ridendo.
Con il passare degli anni, le cose si sono normalizzate: per ospitare l’intero gruppo sono state costruite delle casette sui suoi terreni, sono stati scavati dei pozzi e installati i servizi igienici. Di tanto in tanto, amici e vicini portano sacchi di riso o piccole somme di denaro, tutte divise in parti uguali. I medici vanno e vengono regolarmente e Ahmadou copre i costi, senza aspettarsi nulla in cambio.
In questo villaggio improvvisato nascono dei legami: “A volte una ragazza viene da me con un giovane e mi presenta come suo padre”, dice con leggerezza Ahmadou, camminando tra le casette. Un piccolo gruppetto di persone vive ancora con lui a casa, per lo più anziani o madri sole. Nella città di Douala vivono 11.000 rifugiati centrafricani.
“Siamo venuti a conoscenza di ciò che ha fatto Ahmadou solo di recente” spiega Henri-Daniel Ewane, funzionario UNHCR addetto alla protezione a Douala. “A Douala, assistiamo oltre 11.000 persone di 15 diverse nazionalità, molte delle quali provengono dalla Repubblica Centrafricana, con l’aiuto di molti partner e del governo camerunense. Tuttavia, i bisogni sono grandi e iniziative come quella di El Hadj Dandjouma sono essenziali. Molti camerunensi sono impegnati in modo simile, per quanto possibile, e molto discretamente”.
Le azioni dell’uomo sono state messe in luce sui social media e hanno ricevuto molti feedback positivi dagli utenti del web: “Quando le persone hanno sentito la mia storia, ho ricevuto numerose chiamate” racconta con gioia Ahmadou. “È incoraggiante e spero che questo ispiri molti altri ad aiutare i rifugiati”.
Attualmente, il Camerun ospita oltre 350.000 rifugiati, principalmente centroafricani e nigeriani. Dall’inizio dell’anno, 5.547 rifugiati sono stati registrati dalle autorità dell’UNHCR e del Camerun nella sola regione del Nord, dove hanno ricevuto protezione internazionale.
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